“Pil 2024, Italia ultima nell’area euro”. Con questo titolo in prima pagina ieri Il Sole 24 Ore ha sottolineato che tra tutti i Documenti programmatici di bilancio inviati in questi giorni alla Commissione europea dai Governi dell’Eurozona quello italiano indica, insieme a quello finlandese, la crescita più bassa del Pil (+1,2%) per il prossimo anno. Francia (+1,4%), Germania (+1,6%) e Spagna (+2%) prevedono di fare meglio di noi. Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «si possono citare i dati puntuali, ma senza commentarli. Oppure, se si sceglie di farlo, tali dati vanno inseriti in un contesto di lungo periodo».
E in questo secondo caso qual è il commento che si può fare?
Si può ricordare che se anche l’anno prossimo registrassimo un +0,7%, come stimato dal Fondo monetario internazionale, e non un +1,2%, saremmo comunque il Paese che è cresciuto di più rispetto al 2019. Per favore, smettiamola con questa storia del fanalino di coda, perché è una cavolata gigantesca: l’Italia è il Paese che ha reagito meglio al Covid e con maggior rapidità. La Germania è ancora ai livelli del 2019, noi siamo sopra di oltre tre punti.
Questo grazie al traino del superbonus al 110%?
Anche senza l’edilizia la nostra crescita sarebbe stata comunque superiore di un paio di punti percentuali rispetto al 2019. Certo, detto questo è chiaro che non possiamo non preoccuparci del fatto che stiamo perdendo quell’abbrivio cominciato nel 2021-22. Non è demerito dell’attuale Governo: sono venute meno alcune condizioni.
Quali?
La prima è che il contesto europeo si è molto deteriorato e la Germania, nostro principale partner industriale, è entrata in recessione. E non penso che nel 2024 il contesto migliorerà tanto. La seconda è lo stop ai superbonus edilizi, che acuisce la mancanza di un traino da parte degli investimenti privati dopo la fine di Industria 4.0. I consumi delle famiglie non stanno crollando, ma tra inflazione e preoccupazioni per il contesto internazionale non possono dare una spinta analoga a quella che c’è stata nella fase euforica post-Covid.
Torniamo al dato di crescita indicato dal Governo per il 2024: si potrà realmente arrivare al +1,2%?
I margini di finanza pubblica non consentono politiche economiche particolarmente espansive e non abbiamo, quindi, cartucce da utilizzare per irrobustire la crescita, se non il Pnrr, di cui non si capisce bene quando si concretizzeranno gli effetti. Se l’anno prossimo non si riuscirà a mettere a terra il Pnrr, il +1,2% sarà un miraggio. Dunque l’economia è in fase di attesa, lo sono i consumatori che restano prudenti, come le imprese.
Che segnali sta ricevendo dal mondo imprenditoriale?
Non è che le imprese in questo momento si stiano strappando i capelli, anche perché hanno realizzato buoni profitti negli ultimi anni. Hanno avuto il problema dei costi delle materie prime, ma li hanno gestiti bene. Sui mercati esteri sono riuscite a riversare gli aumenti di tali costi rimanendo competitive, hanno tenuto o guadagnato quote di mercato, come mostra il fatto che l’aumento dell’export dei primi otto mesi dell’anno è praticamente frutto delle esportazioni extra-Ue. Abbiamo un’industria robusta che ha fatto e fa ancora investimenti. Il tessuto è forte, come dimostrano i dati dell’ultimo Trade performance index, realizzato dall’International trade centre, che stiamo elaborando in Fondazione Edison.
Cosa dicono questi dati?
Che l’Italia, dopo la Germania e insieme alla Cina, è il Paese oggi più competitivo al mondo. È, infatti, sempre nelle prime posizioni in quasi tutti i 14 macro settori di commercio estero analizzati, il che dimostra che le imprese italiane stanno vivendo un picco di competitività che non si vedeva da decenni: è un dato strutturale che rimane e non svanisce. Quello che purtroppo non sta riuscendo è una sorta di staffetta tra il ciclo positivo che si è fermato e un nuovo potenziale ciclo, quello del Pnrr, che non si riesce a capire come potrà concretizzare un po’ di apporto alla crescita.
Qual è il suo giudizio sulla manovra varata questa settimana?
È una manovra che fa drammaticamente i conti con l’esistente. Rappresenta un passo indietro rispetto alle promesse elettorali dei partiti della maggioranza, dovuto alla mancanza di risorse. L’extradeficit è motivato quasi esclusivamente da un paio di voci: mantenere il taglio del cuneo fiscale (nessuno sarebbe contrario a tale rinnovo) e accorpare le prime due aliquote Irpef. Il Governo sta, quindi, attuando una politica estremamente accorta sul piano dei conti pubblici, in una linea draghiana.
Il Governo prosegue, quindi, nel solco tracciato da chi l’ha preceduto?
Il Governo sui conti pubblici sta seguendo una “linea Draghi”. Per quanto riguarda il resto dell’economia, ha avuto un po’ la sfortuna di arrivare alla fine di un ciclo molto positivo. La crescita è ferma, ma non si vedono strategie, idee e azioni per rinvigorirla. Occorrerebbe lavorare testa bassa sul Pnrr per farlo funzionare: è l’unica leva che abbiamo a disposizione per crescere. L’unica differenza tra avere Draghi oggi o non averlo è che a Bruxelles avrebbero meno da ridire sull’extradeficit per una questione di credibilità e autorevolezza personale.
Eppure lo spread è tornato a salire.
Non capisco come mai non ci sia un’azione complessiva di tutto il sistema Italia per dire che non ha senso che un Paese come il nostro, che ha 200 miliardi di debito pubblico in meno della Francia, finanziato solamente per un quarto da investitori stranieri, paghi interessi sul debito superiori a quelli della Francia.
L’Italia ha però un rapporto debito/Pil superiore a quello francese…
Non è il debito/Pil che individua gli elementi di debolezza di un Paese dal punto di vista finanziario, è solo un indicatore. Oggi la Francia è molto più appesantita dell’Italia sul fronte dei conti pubblici senza avere un’economia industriale reale forte come la nostra. Abbiamo un problema storico di comunicazione, l’incapacità di spiegare a Bruxelles che il messaggio che si porta avanti è dannoso per la stessa Ue: non si può continuare a dire che l’Italia è l’anello debole della catena, assecondare l’idea che debba avere uno spread più alto degli altri Paesi.
Nelle scorse settimane non sono mancati i paragoni con il 2011. Lei cosa ne pensa?
Contesto che si possa affermare che il Paese sia in una situazione paragonabile a quella del 2011.
(Lorenzo Torrisi)
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