Può sembrare irreale, incredibile, poiché assolutamente inconsueto, ma in Europa c’è una nazione che – numeri alla mano – sta vivendo un momento delicato e, questa volta, non è l’Italia, non sono gli italiani, non si tratta del cosiddetto “Bel Paese” che, talvolta, viene solo ricordato per essere accostato a sinonimi di qualunquismo o stupide (per non dire altro) associazioni folcloristiche da sagra di paese. Chi vive, e purtroppo potrebbe vivere ancora momenti di difficoltà, è la Spagna. Nelle ultime ore, il ministero della Sanità spagnolo ha comunicato l’elevato numero di decessi – ben 241 – registrati in un solo giorno e, come viene sottolineato, ci troviamo di fronte al valore più alto di vittime dall’inizio della seconda ondata di Covid-19 (fonte Ansa). Per tale tragedia, unirsi al cordogli, è un sincero dovere.
Sempre nelle ultime ore, la Spagna, attraverso il suo INE (Instituto Nacional de Estadìstica), ha visto pubblicato il dato sul Pil del secondo trimestre: -17,8% è il dato definitivo che, pur scostandosi rispetto alla stime preliminari (-18,5%), vede in netta difficoltà l’economia spagnola.
Anche il dato su base annua non fa ben sperare sia per il presente che per l’immediato futuro spagnolo: -21,5% rispetto al -22,1% delle stime. Si tratta di un significativo e vertiginoso crollo rispetto al -4,1% (tendenziale) del primo trimestre.
L’insieme di questi dati, oltre a quello già diffuso in tema di occupazione, obbliga la Spagna a insediarsi nelle caselle più lontane delle varie classifiche internazionali. Già in occasione del recente rapporto di Eurostat, lo status spagnolo era quello di fanalino di coda: nel periodo compreso tra aprile e giugno, la flessione del Pil iberico equivaleva a 18,5 punti percentuali rispetto a una media dell’intera Eurozona pari al -11,8%.
Oggi, più che mai, il divario – in ottica futura – sembra ulteriormente confermare un malessere per il Paese a noi non troppo lontano. E proprio questa vicinanza deve – in tutti noi – sollevare qualche dubbio sulla nostra “ritrovata posizione” perché di questa si deve parlare.
Il “tema spagnolo” era stato approfondito su queste pagine in tempi cosiddetti non sospetti. A distanza di qualche mese, l’aver constatato l’ulteriore riscontro di certo non giova a chi scrive, bensì pone alcuni dubbi sul vero e proprio “stato” del nostro Paese.
Abbiamo più volte invocato, richiesto, e sollecitato un cambio di rotta nella gestione delle nostre finanze e della cosa pubblica. Si sentono voci che richiamano il bisogno di riforme, ma, come ormai spesso (troppo spesso) accade, tali argomentazioni mutano in mero e semplice suono privo di possibile effetto in chi attende i fatti. Il tutto è pari al nulla e niente più.
Se la vicina Spagna, e in qualche modo anche la Francia e la “sempre forte” Germania, con inoltre il più lontano Regno Unito, aggiornano la loro quotidianità sul pericolo incombete della pandemia tra i loro confini, com’è possibile che invece in Italia questo stato di allerta sembra alquanto scemare e passare nella più tranquilla consuetudine? Delle cosiddette “linee guida” da tenere, e allo stesso tempo temere, non vi è più solerzia di informare il popolo italiano? Del pericolo e pericoloso lockdown non vi è più cenno? Siamo quindi fortunati perché scampati alla comune tragedia che invece attanaglia la vita dei nostri sfortunati vicini del Vecchio continente? Non può essere così e, sono in molti, i soggetti, che non possono accettare che “questo nulla” si riduca al triste e ben noto “non ce n’è Covid”.
Amareggia questa impotenza del “non sapere” che non rende ansiosi, ma – all’opposto – alimenta la più introspettiva e recondita voglia di giustizia. Davvero siamo diventanti il Paese che non occupa più gli ultimi posti delle varie classifiche? I dubbi rimangono e sono molti e appare lecito avere qualche risposta.