In attesa della definizione del programma di utilizzo delle risorse europee del Recovery fund, gli unici provvedimenti di un certo peso messi in campo per favorire la ripresa economica post-Covid sono rappresentati dalla decisione di semplificare le procedure amministrative per accelerare la realizzazione delle nuove infrastrutture, e dai super bonus del 110% sul valore delle ristrutturazioni edilizie finalizzate al miglioramento sismico ed energetico delle abitazioni. Un provvedimento che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe essere prorogato oltre l’attuale scadenza del 31 dicembre 2021. In questo modo, il settore delle costruzioni viene chiamato, almeno in parte, a recuperare il ruolo trainante svolto per l’intera economia nella seconda parte dello scorso secolo, con una funzione anticiclica nei periodi di crisi economica.
Lo sviluppo del settore delle costruzioni, nella doppia componente delle infrastrutture e dell’edilizia residenziale, ha tradotto in realtà la voglia di investire sul futuro dell’intera comunità nazionale, come catalizzatore dei risparmi destinati a rafforzare il patrimonio abitativo e le infrastrutture, in coerenza con la crescita demografica della popolazione. Le ricadute di questi investimenti hanno contribuito notevolmente all’affermazione del made in Italy, quel condensato di design, creatività, tecniche costruttive, materiali e prodotti per l’abitazione, invidiato nel mondo. Il mercato del lavoro delle costruzioni ha svolto un ruolo di cerniera per la transizione da un’economia agricola verso quella industriale, offrendo vaste opportunità di impiego di lavoro dipendente e autonomo per le persone prive di significativi percorsi formativi, e che nelle specializzazioni manuali hanno trovato le condizioni per affermare uno status e migliorare le condizioni economiche, oltre che offrire uno sbocco per una significativa quota di diplomati e laureati e professionisti.
L’importanza storica del settore delle costruzioni è stata paradossalmente messa in evidenza nel corso della crisi economica iniziata nel 2008, che ha comportato per queste attività la perdita di 540mila posti di lavoro, più della metà di quella totale registrata nel picco negativo del 2014, e un crollo degli investimenti privati e pubblici. Le cause sono dovute a diversi fattori: il declino demografico che ha comportato un crollo della costruzione annuale di nuove abitazioni da 280mila a 50mila nel corso del decennio 2008-2017, e una riduzione del 45% del valore della produzione. Gli indicatori negativi degli investimenti nelle costruzioni spiegano buona parte del declino economico italiano.
I numeri forniti dall’Istat sono significativi: il crollo degli investimenti nelle costruzioni rispetto al 2008 equivale al 90% della riduzione avvenuta per l’intero sistema economico (-71 miliardi di euro) e l’80% di quelli della Pubblica amministrazione (-13 miliardi). Per un valore cumulato di oltre 440 miliardi di euro nel decennio preso in considerazione. I dati negativi portano l’Istat ad affermare che se la quota degli investimenti pubblici e privati in Italia fosse rimasta in linea con quella degli altri Paesi europei, negativa nel corso della parte acuta della precedente crisi ma in forte ripresa negli ultimi 5 anni, l’andamento negativo del valore medio annuale del Pil italiano (-0,4%) si sarebbe tramutato in una crescita positiva pari all’1,1%.
L’attività nel settore è ormai concentrata per il 75% sui comparti delle manutenzioni e del recupero del patrimonio residenziale, anche per effetto delle agevolazioni fiscali introdotte per queste finalità (detrazioni pari a un valore del 50% e del 65% su un massimale di 96mila euro di spesa per ogni singola abitazione). Secondo l’ufficio studi dei Consulenti per il lavoro, questi incentivi hanno mobilitato il 31% degli investimenti complessivi dedicati alla manutenzione straordinaria, per un volume di circa 220 miliardi di euro, equivalente a una media annua di 371mila posti di lavoro, indotto compreso, e offerto un significativo contributo a contenere la piaga del lavoro sommerso, che riguarda il 17% degli occupati, con punte superiori al 25% nelle aree del Mezzogiorno. La perdita occupazionale nel decennio preso in considerazione (-540mila unità), tra i quali 382mila dipendenti e 153mila autonomi, si è concentrata in grande prevalenza nella fascia di età degli under 35 anni, segnalando il sostanziale esaurimento del ricambio generazionale per la componente degli occupati italiani. Compensata in parte dalla crescita della quota degli immigrati arrivata al 17% sul totale dei dipendenti. L’uscita di una parte del personale storico ha comportato una riduzione dal 63% al 55% della quota degli occupati con titoli di studio fino alla terza media, e nel mentre si è incrementata la quota dei lavoratori qualificati, dei diplomati e dei laureati. La struttura delle imprese è caratterizzata nella quasi totalità da quelle micro, con una media di 2,6 addetti, e da poche imprese di rilevanti dimensioni, circa 80 che impiegano complessivamente 52mila dipendenti.
È da queste caratteristiche delle imprese e del mercato del lavoro che bisogna partire per comprendere l’impatto dei nuovi provvedimenti adottati dal Governo. Il potenziale di crescita della produzione e dell’occupazione legata ai nuovi incentivi dell’eco-sisma bonus, premessa la durata di almeno tre anni del provvedimento promessa dall’esecutivo, viene stimato dall’Ance (l’Associazione nazionale dei costruttori) in circa 63 miliardi, equivalente a 3 punti del Pil, a una media annuale di 100mila nuovi occupati, indotto compreso. Il Governo prevede inoltre di raddoppiare l’attuale spesa per gli investimenti pubblici in infrastrutture, da finanziare anche con le risorse europee dei fondi ordinari e del Recovery fund, per un volume di circa 190 miliardi di euro per il decennio a venire.
Questi obiettivi, se riscontrati nella realtà, potrebbero concorrere alla crescita dell’occupazione di circa 150mila lavoratori in media anno. L’importo quantitativo non è eclatante, ma per sul piano qualitativo può essere ancora più rilevante per l’effetto trainante sulle politiche energetiche e ambientali, per la ricerca e la messa in campo di nuove tecnologie e materiali, per la crescita della produttività e della domanda di profili professionali più evoluti.
Ma tutto questo richiede a monte che la Pubblica amministrazione sia in grado di rendere effettivamente disponibile il potenziale delle risorse finanziarie e che i committenti, le imprese, i professionisti e i lavoratori vengano messi nelle condizioni di implementarle. I dubbi sono leciti. Poco è stato fatto per attuare le semplificazioni previste per accelerare la messa in opera delle infrastrutture, per migliorare le attività di progettazione, per razionalizzare il numero delle stazioni appaltanti. Molto, ma in negativo, è stato fatto invece per complicare la vita a chi deve gestire i super bonus per le ristrutturazioni delle abitazioni. Per il timore che la detrazione fiscale del 110% induca i committenti e i fornitori a mettersi d’accordo per scaricare sullo Stato costi impropri, sono stati predisposti un’infinita serie di combinati disposti normativi per l’utilizzo degli incentivi, di adempimenti e controlli tali da far impazzire anche il professionista più esperto. Vanificando in questo modo il vecchio impianto delle detrazioni fiscali, basate sul conflitto di interessi, e di regole collaudate che aveva generato ottimi risultati.
Molto può essere fatto per migliorare la qualità del rapporto tra la Pubblica amministrazione e i professionisti privati chiamati a progettare e certificare le attività, ma questo richiede un salto di qualità anche per il versante delle imprese, per l’esigenza di mettere in campo un’offerta integrata di prestazioni e di servizi che le micro imprese faticano ad avere Questo vale anche per il mercato del lavoro, catalogato da anni nella serie dei lavori “buoni solo per gli immigrati” in quanto disdegnati dalle giovani generazioni autoctone. Sottovalutando i nuovi fabbisogni di professionalità e di competenze richieste da un sistema di costruzioni più evoluto. Queste criticità sono rimediabili, tramite una capacità di ascolto delle istituzioni, con interventi che favoriscano la razionalizzazione dell’offerta delle imprese e forti investimenti per migliorare le competenze dei lavoratori e dei professionisti. Difficile tornare ai numeri del passato, ma con i passi giusti l’inversione di tendenza si può realizzare.