Il nuovo anno inizia con prospettive incerte per l’economia e l’occupazione: le due misure simbolo del governo giallo-verde, il reddito di cittadinanza e quota 100, non hanno rilanciato né i consumi interni, né l’occupazione, come peraltro ampiamente previsto nei documenti tecnici del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Lo scenario mondiale rimane problematico, con la Brexit ormai imminente e la guerra dei dazi aperta dalla amministrazione Trump che vuole riequilibrare i flussi di import-export soprattutto dei beni per rilanciare l’occupazione interna. È opportuno a questo proposito ricordare almeno due dati, per avere l’idea di quanto siano vicine a noi queste questioni: verso gli Stati Uniti esportiamo beni per 42,4 miliardi di euro l’anno, importiamo per 16, con un saldo attivo di 26,5 miliardi di euro (dati 2018); verso il Regno Unito esportiamo 23,5 miliardi di euro di beni, importiamo 11,1 con un saldo attivo di 12,3 miliardi. Entrambi questi fondamentali mercati oggi sono a rischio.



Per questo ritorna sempre più evidente che una ripresa dell’economia e dell’occupazione può venire solo da una ripresa degli investimenti, pubblici e privati, e, in primo luogo, infrastrutturali. Questa esigenza è affermata a chiare lettere nella nuova manovra finanziaria, ma come è ben noto “tra il dire e il fare …”. Superata, almeno sembra, l’opposizione ideologica preconcetta del M5S alle “grandi opere”, dipinte da Toninelli come “la mangiatoia”, quasi servissero solo per depredare soldi pubblici, alla partenza degli investimenti si frappongono ancora gli ostacoli che da molti anni bloccano questo settore in Italia.



Una descrizione sintetica e molto efficace di questi ostacoli, l’ha data Giovanni Tria al Meeting per l’Amicizia tra i Popoli di Rimini l’anno scorso: da pochi giorni non era più ministro e, forse per questo, si è sentito libero di dire con chiarezza quanto segue. “Il problema in Italia degli investimenti pubblici non è certamente quello della mancanza di fondi: i fondi ci sono, da anni, ma non vengono utilizzati, perché c’è una difficoltà a fare gli investimenti. Credo che ci siano due questioni fondamentali. Da una parte dobbiamo cambiare le regole: quest’inverno avevo lanciato l’idea, come ministero delle Finanze, che per un periodo tornassimo alla direttiva europea sugli appalti pubblici; significa eliminare la sovrastruttura di regole che abbiamo messo intorno alla direttiva europea. Questa è una parte: poi c’è la capacità del settore pubblico di progettare in modo corretto: occorre incrementare la capacità tecnica di progettazione a livello nazionale e locale; io credo che questa capacità tecnica sia stata progressivamente quasi distrutta negli ultimi decenni e va ricostruita. C’è poi un terzo, altro grande problema, che è il rischio legale. In tutto il mondo gli investitori ci dicono che ci sono molte opportunità di investimento in Italia, ma hanno paura del rischio legale: questo è dovuto non tanto alla lentezza delle procedure, ma all’imprevedibilità e alla facilità con cui si passa da procedimenti amministrativi a civili e a penali. Questo rischio viene visto in Italia e non viene visto in altri paesi”.



Il problema quindi non sono i soldi, ma è la mancanza della capacità tecnica e la confusione normativa, che lascia spazio a debordanti interventi della magistratura. Estremizzando: nella Pubblica amministrazione c’è un eccesso di cultura giuridica e una carenza di cultura tecnica, ingegneristica ed economica. Lo abbiamo drammaticamente visto con la vicenda del Ponte Morandi, dove si è visto di tutto ma, a oltre un anno dall’evento, non si è ancora vista un’iniziativa seria per dotare il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture di un organo tecnico in grado di fare con competenza ed efficacia i controlli tecnici che a esso spettano. Si discute invece se sia meglio “il privato o il pubblico” e si demonizza il “mercato”, dimenticando che esso è un’istituzione di giustizia: senza un’autorità che garantisca a tutti il diritto di vendere e comprare in sicurezza, che garantisca la moneta e le unità di misura (spesso incastonate non a caso nelle mura del municipio) non c’è “mercato”, ma solo soggezione alla legge del predatore più forte.

Eccesso di approccio giuridico: interessante a questo proposito l’accenno fatto da Tria alla sua proposta di tornare “per qualche tempo” alla direttiva europea, eliminando l’enorme complessità procedurale che in Italia abbiamo aggiunto e che ci penalizza rispetto ai nostri partner europei: purtroppo, sembra che si stia andando proprio nella direzione opposta. Il Governo si appresta ad emanare il “Regolamento di esecuzione, attuazione e integrazione” del codice degli appalti approvato tre anni e mezzo fa dal governo Renzi: per commentare i 220 articoli del codice, il regolamento sembra ne userà altri 273, portando a 493 le norme da seguire per gestire i contratti pubblici. Sembra proprio il caso di citare Tacito: “Corruptissima re publica plurimae leges”. (Annales, Libro III, 27)