L’anno nuovo riparte, inevitabilmente, da dove si è chiuso, nel bene o nel male, quello precedente. Sappiamo, ahimè, però con certezza che neanche nel 2025 “sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,” né “ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno. Anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno”, come si auspicava Lucio Dalla nel lontano 1973. Anzi (ri)partiamo da un Paese che ha, indubbiamente, delle ferite da curare anche sotto l’aspetto socio-economico.
Nel corso del 2024 sono, ad esempio, enormemente aumentati i tavoli di crisi presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy. Sono, nel dettaglio, ben 105.974 i lavoratori coinvolti dalle crisi industriali per i quali sono a oggi aperti confronti al Mimit. A gennaio del 2024 erano, secondo la Cgil, “solo” 58.026. A questi si aggiungono 12.336 addetti di piccole e medie aziende le cui vertenze non sono neppure arrivate alle istituzioni.
Complessivamente si tratta, secondo il sindacato di Landini, di 118.310 lavoratori e lavoratrici. I settori maggiormente coinvolti sono l’auto e la sua filiera, la chimica di base, il sistema moda, l’industria della carta, l’energia (phase out delle centrali a carbone).
Si dovrebbero, poi, aggiungere anche le decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori di aziende in crisi che hanno tavoli aperti a livello regionale, per i quali non esiste (incomprensibilmente) una seria e completa mappatura nazionale da parte delle istituzioni.
Secondo il sindacato di corso Italia, le numerose vertenze aperte nel 2024 raccontano di un’incapacità totale del pubblico di indirizzare le politiche industriali in settori strategici e rilevanti per il Paese. Il sistema delle imprese si ritiene non sia in grado, da solo, di competere e di rispondere alle sfide delle grandi transizioni, verde e digitale, che da potenziale volano per l’economia rischiano di trasformarsi in un’ulteriore occasione di impoverimento per il nostro sistema produttivo e industriale, con la conseguente crescita della precarietà lavorativa e delle disuguaglianze sociali.
Si denuncia, insomma, la mancanza di una chiara politica industriale per il sistema-Paese, della nazione direbbe la Premier Meloni, in grado di vincere le sfide del presente e immaginare l’Italia che verrà. Un compito, però, non delegabile, solamente, alla politica, ma a tutte le parti sociali ed economiche chiamate, ciascuna nel suo ruolo, a fare la propria parte.
Nel mondo globale di oggi, infatti, è difficile immaginare, almeno per un Paese come il nostro, che le scelte industriali possono essere “autarchicamente” guidate da palazzo Chigi o da un ristretto numero di burocrati e politici esperti rinchiusi nelle loro stanze.
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