Non ci possiamo nascondere dietro un dito o dietro un decreto, la questione lavoro sarà centrale nei prossimi mesi. Il processo di riapertura sconterà numerosi fattori che è difficile valutare a freddo. Già adesso vi è una diversità nell’impatto della crisi tra i settori.

È pericoloso tuttavia fare annunci che rischiano di creare panico tra le persone, che già hanno molti altri problemi. La stima fatta da Confindustria, che parla di rischio occupazione per un numero tra 700.000 e un milione di persone, non vorrei fosse un annuncio tattico. Anche il sindacato ha forti preoccupazioni, e sul territorio le categorie stanno facendo un grande lavoro per garantire la massima tutela ai lavoratori. Quel che serve è un grande sforzo sistemico per evitare che i problemi creati dal Covid-19 si amplifichino ulteriormente. Oltre a chiedere resilienza ai lavoratori, occorre chiederla anche alle imprese.



Le settimane di lockdown hanno fermato settori come l’automotive o il turismo. Quest’ultimo inoltre soffre di dinamiche legate anche all’immagine che l’Italia dovrà riconquistare. Ma il settore alimentare, parte di quello logistico/distributivo o quello informatico non hanno avuto gli stessi problemi, se non addirittura una crescita. Vi è quindi bisogno di un approccio complesso e la capacità di definire e implementare risposte complesse.



Occorre avere un pensiero propositivo, non semplicemente ottimistico. C’è tantissimo lavoro sostenibile da fare e da creare. Il decreto rilancio nella sostanza eroga risorse allo status quo. È certo fondamentale supportare l’esistente e garantire le risorse per gli ammortizzatori sociali ai lavoratori, ma bisogna darsi il prima possibile una strategia per il futuro. L’Europa ha fatto già tanto sospendendo il Patto di stabilità; con lo Sure (politiche attive e passive del lavoro) e il Recovery Fund farà ancora di più. Sta a noi sfruttare al meglio le opportunità e spendere al meglio i soldi, favorendo investimenti green per il futuro e non semplicemente far lievitare la spesa corrente.



Occorre accelerare la transizione energetica, definire subito gli interventi del Green Deal Italiano, che purtroppo il decreto rilancio non ha finanziato, preferendo alcune misure del decreto clima, trasformare i Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad) in Sussidi Ambientalmente Favorevoli (Saf), definire una riforma fiscale in chiave redistributiva verso il basso, rivedere il Titolo V della Costituzione, visti i frutti della continua frizione tra Stato e Regioni, semplificare un numero incredibile di procedure amministrative, implementare l’innovazione tecnologica nella Pubblica amministrazione e un utilizzo massiccio dello smart working. Sicuramente tante altre questioni si potrebbero aggiungere, sia a livello nazionale che nelle amministrazioni locali. Non c’è bisogno di una lista della spesa, bensì darsi delle priorità e raggiungerle.

Utilizziamo questo periodo di transizione per fare innovazione e formazione, che sono due facce della stessa medaglia, per difendere i lavoratori e le imprese nello stesso momento. Non è il momento di depauperare le imprese riducendo le risorse umane, bensì di prepararsi per favorire la migliore ripartenza possibile.

Non vogliamo essere gattopardi, non vogliamo che tutto torni come prima, visto i risultati e la evidente necessità, su cui sembrano tutti d’accordo, di cambiare modello di sviluppo. Parlare di licenziamenti, se non minacciarli tout court, in fondo vuol dire replicare il modello precedente, cioè quello dopo la crisi del 2008. Se le imprese reclamano il loro essere la punta di diamante del Paese, e in molti casi lo sono, devono cambiare il paradigma di cosa è meglio per loro e questo non può cominciare riducendo il personale, bensì trovare vie per valorizzare realmente il capitale umano che possiedono.

I dati Istat da diversi anni ci dicono che le imprese che vanno meglio sono quelle che innovano, tecnologicamente e organizzativamente, e hanno indirizzato le loro attività secondo la logica della sostenibilità e della qualità del prodotto. Occorre quindi spingerle all’innovazione, altrimenti anche loro non riusciranno a tenere il passo con la concorrenza globale; potranno sfruttare qualche anno di rendita, ma poi verranno replicati i problemi che non aiuteranno loro, i lavoratori e il bene del Paese.

Nei prossimi mesi dobbiamo essere tutti molto responsabili e con grande serietà dobbiamo assicurare che le risorse che abbiamo, poche o molte che siano, italiane o comunitarie, siano spese al meglio. Ma responsabilità e serietà non possono essere chieste sempre a una sola parte.

Abbiamo molto più bisogno di qualità, che non di quantità.

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori