Nel 2021 con la Legge di bilancio è stata inserita nel nostro ordinamento la cosiddetta “Decontribuzione Sud” ossia uno sgravio contributivo per le aziende del Mezzogiorno in caso di alcune specifiche tipologie di assunzioni.

Con questo strumento si immaginava, oltre ad altre azioni più complesse e di sistema, di provare a contenere gli effetti della pandemia Covid-19 sull’occupazione e a tutelare i livelli occupazionali in aree con gravi, e croniche, situazioni di disagio socioeconomico qual è, tendenzialmente, il nostro Mezzogiorno.



Possono goderne, infatti, i datori di lavoro privati con sede in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. In caso di rapporti di lavoro in somministrazione la sede di lavoro che rileva è quello del luogo dove si svolge concretamente la prestazione lavorativa. Sono esclusi da questo incentivo, tuttavia, le imprese dei settori finanziario e agricolo e i datori di lavoro domestico (si pensi, ad esempio, a colf e badanti).



Dal punto di vista “economico” ai datori di lavoro privati richiedenti questo incentivo è stata riconosciuta un’agevolazione le cui percentuali delle contribuzioni sono variate nei diversi anni. Sono, ovviamente, esclusi dal calcolo della contribuzione i premi e contributi dovuti all’Inail.

Sino al 31 dicembre 2025 l’ esonero era del 30% della contribuzione, per gli anni 2026 e 2027 del 20% e per gli anni 2028 e 2029 esonero del 10% e non si prevede un massimale nell’importo per singolo lavoratore/lavoratrice.

Nei giorni scorsi la Commissione europea ha accolto, in questo quadro, la richiesta avanzata dall’Esecutivo di Giorgia Meloni di estendere l’autorizzazione all’utilizzo della misura “Decontribuzione Sud”, per ulteriori 6 mesi, fino al 30 giugno 2024.



Come sempre in questi casi viene da chiedersi se gli incentivi, così come le le leggi e i decreti, possano creare da soli i posti di lavoro. Questo vale ancora di più in un periodo come quello che stiamo vivendo ricco di contraddizioni e nel quale le disuguaglianze sociali sono in costante crescita. Un fatto ancor più vero se si pensa, poi, alle realtà, in molti casi già in sofferenza, del nostro Mezzogiorno.

Serve, probabilmente, per rilanciare l’economia un “progetto industriale” del sistema Paese, un’idea di come immaginiamo, in un mondo sempre più globale, la nostra “povera patria” tra 20 o 30 anni. Che Paese, insomma, vogliamo lasciare ai nostri figli.

Da questo dovrebbero poi delinearsi le scelte concrete di Governo che sono fatte, banalmente, anche di allocazione strategica delle risorse.

Riuscirà, nei prossimi mesi (anni?) il Governo dei Patrioti a fare tutto ciò o perlomeno abbozzare una prospettiva di medio periodo?

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