Ehi, economisti, apologeti dell’economia della produzione, prendo di petto un vostro attempato concetto: l’utilità marginale di un bene. Cardine della teoria neoclassica del valore in economia, misura l’incremento del livello di utilità, ovvero della soddisfazione, che un individuo trae dal consumo di un bene, ricollegabile ad aumenti marginali nel consumo del bene.



Che sia attempata non lo mostra solo il settecentesco Daniel Bernoulli, che per primo ne parla e, passando di bocca in bocca, altri che ribadiscono un’utilità non sempre utile. Nella monumentale formula non una sillaba viene spesa per dedurre cosa accada, nel tempo dell’economia dei consumi, al valore di una marginalità vieppiù decrescente.



Bene, affinché sia di monito, diamo un’occhiata ai fatti. Se ho in casa tutto il bendiddio che si possa desiderare, il desiderio ristagna. Bene, l’utilità marginale decrescente (la legge dell’utilità marginale decrescente afferma che, all’aumentare del consumo di un bene, l’utilità marginale di quel bene diminuisce) si annusa guardando di traverso: se si è affrancati dal bisogno, si riduce quella del dover fare spesa, pure l’utilità del debito per poterla fare; quella del dover produrre e del dover lavorare al produrre merci da acquistare. Et voilà, quando le altre utilità annaspano, aumenta invece l’utilità marginale della domanda di merci.



Sì, perché se viene a mancare la domanda, manca il contributo fornito dalla “tiritera” (la spesa trasforma la merce in ricchezza, il consumo dell’acquistato spinge la riproduzione…) alla crescita. Con una teoria che non misura questo valore, la crisi – che incarta il mondo dal 2007 – è stato il minimo che potesse capitare.

Già, la teoria economica neoclassica non considera il valore marginale della domanda, inversamente proporzionale a quello della spesa, né valuta gli effetti collaterali che vengono così generati proprio dentro il meccanismo della produzione del valore. La teoria, appunto; il mercato a volte sì, magari, quando fa il 3×2.

Già, il 3×2 fa il prezzo dell’utilità decrescente della spesa remunerando la domanda: mia moglie, mia madre e mia nonna acquistano il 3, pagano per il 2. Avranno ciascuno l’1 al prezzo di 0,666666. Per le imprese, un’iniziativa pro crescita; per la mia famiglia/gli amici/quelli del pianerottolo e quelli in gruppi d’acquisto si contiene la discesa dell’utilità marginale del prodotto acquistato; migliorando la redditività del reddito speso si rifocilla il potere d’acquisto. Beh, seppur con pazienza, prudenza e perseveranza, insomma: la domanda comanda!

A meno che i soliti apologeti, con le stesse 3P, non vogliano ancor tentare, per arrestare la decrescente utilità marginale della spesa, di utilizzare “un consistente stimolo monetario per assicurare che prosegua l’accumularsi di pressioni al rialzo sui prezzi nel medio termine”, come dice Mario Draghi, nel rapporto annuale della Bce. Bella, no? Prezzi più alti, meno spesa, per fermare quella decrescenza!