Al trentennale declino della ricchezza nazionale e alle crisi visibili in alcuni settori industriali si contrappongono i dati che mostrano un’economia ancora così forte e reattiva da rendere possibile l’inversione del declino stesso qualora si instaurasse una conduzione politica che mettesse al centro della missione di governo lo sviluppo. Nel 1861 i protagonisti del Risorgimento dissero: l’Italia c’è, ora bisogna fare gli italiani. Oggi bisognerebbe dire: gli italiani ci sono, ora c’è da rifare l’Italia.



Nei commenti prevale l’attenzione ai fatti negativi – cosa comprensibile per la missione critica della stampa in una democrazia -, ma il Natale è occasione per farci tutti un dono reciproco richiamando l’attenzione su quanto di positivo c’è nella nostra comunità nazionale. Chi scrive, oltre al mestiere accademico, è anche stratega di un gruppo di investimenti industriali. Da questo osservatorio si vede che non c’è posto al mondo come l’Italia dove le piccole e medie aziende sono definibili come “salvadanai magici”: ci metti 1 euro e poi ne ricavi 3.



Il merito è di una cultura d’impresa eccezionale per flessibilità, capacità innovativa e audacia commerciale. Certo, ci sono gap. Ma il dato rilevante è che un numero crescente di aziende li sta risolvendo rapidamente – anche rendendosi conto che “piccolo” non è più bello -, segno di una grande reattività e consapevolezza dei requisiti di competitività, peraltro senza facilitazioni dalla politica economica, anzi. Nessun Paese può esibire un così grande numero di piccole-medie aziende internazionalizzate. E ce ne sono almeno tremila che nei prossimi 5 anni potrebbero quotarsi posizionando Borsa italiana tra le più grandi del mondo.



Molti sociologi descrivono una società italiana in disfacimento morale. Le centinaia di migliaia di volontari dedicati a servizi nelle comunità locali e milioni di famiglie solide non sarebbero d’accordo. Poca istruzione? Certo, ma c’è anche il fenomeno di auto-apprendimento informale non registrato dalle ricerche standard. Individualismo? Certo, ma anche un’imprenditoria di massa che non ha eguali nel pianeta. Disordine? Certo, ma anche grandi vitalità e attivismo diffuso.

Un ricercatore tedesco, ospite dello scrivente in questi giorni, ha detto: voi in Italia siete fortunati perché riformare istituzioni che non funzionano è molto più facile che rendere vitale una società passiva. La citazione è indirizzata ai politici. Cari auguri.

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