Una giornata all’insegna di Banca d’Italia, Istat e ritorno di fiamma dello spread. Nelle primissime pagine delle Considerazioni finali alla 125esima Relazione annuale della Banca d’Italia il governatore Ignazio Visco ha ammonito contro il rischio di una “espansione recessiva”: per far tornare l’Italia sul sentiero della crescita non bastano gli stimoli congiunturali fatti in disavanzo, che possono rivelarsi inefficaci se non addirittura controproducenti. Parole pronunciate in un contesto caratterizzato da uno spread BTp-Bund schizzato sopra i 290 punti (per poi ridiscendere a 285) e con una crescita 2019 stimata praticamente nulla. Il Pil italiano, infatti, nel primo trimestre del 2019 è salito dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti, ma il tendenziale, cioè il Pil su base annua, nello stesso periodo è tornato negativo (-0,1%) come non accadeva dal quarto trimestre del 2013. Così, pur confermando l’uscita dell’Italia dalla recessione tecnica, ieri l’Istat nell’ultima stima sul Prodotto interno lordo, in base a dati corretti per gli effetti di calendario, ha rivisto al ribasso le stime diffuse a fine aprile, quando il Pil era previsto in aumento dello 0,2% in termini congiunturali e dello 0,1% a livello tendenziale. Al di là dei singoli decimali, però, il nostro Paese continua a non schiodarsi da una crescita zero. Perché? “Quello che abbiamo davanti – risponde Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino – è sostanzialmente un panorama di stagnazione, perché pesano purtroppo diversi fattori”.
Quali?
Innanzitutto, c’è un fattore estero che gioca contro: la guerra doganale, che sulle nostre esportazioni ha effetti diretti – al momento ancora limitati, perché con noi gli Usa non hanno calcato la mano, ma potrebbero farlo tra un mese o due – e indiretti, molto più marcati, perché i cinesi comprano di meno all’estero perché vendono di meno e questo tocca non solo noi, ma anche la Germania, che importa dal nostro Paese molti prodotti intermedi. In questo momento è forse l’effetto negativo maggiore.
E gli altri fattori avversi?
Sono i nostri problemi di cui soffriamo da tanto tempo: la popolazione che invecchia, e quindi non produce ma consuma, anche se relativamente poco. Il peso degli anziani in Italia è superiore a quello di quasi tutti i Paesi europei ed è il secondo o terzo al mondo. Poi, abbiamo altri nodi non tanto economici, ma strutturali e giuridico-amministrativi. Si parla tanto, per esempio, dei cantieri da sbloccare, ma le procedure sono lunghe e inconcludenti. Senza dimenticare che abbiamo un sistema impositivo molto pesante, ma se abbassiamo le imposte rischiamo subito di andare in iper-inflazione, perché la nostra economia è debole.
Come si può cambiare una tale situazione?
Non è facile. Non c’è la misura miracolosa: tutti, e questo Governo forse un po’ più dei precedenti, seguono la logica del “basta solo che…”. Ma non è così. Bisogna prendere il malato, dargli il ricostituente, magari anche l’aspirina: insomma, bisogna preparare un pacchetto di cure, non basta un medicinale soltanto.
Consumi interni e investimenti arrancano ancora. Il Governo vuole accelerare con il decreto sblocca-cantieri e con la flat tax. Sono misure sufficienti per poter dare almeno un pizzico in più di slancio alla crescita?
Lo sblocca-cantieri sicuramente sì, perché l’effetto immediato dei lavori pubblici è la singola misura che muove di più l’economia. Più che mettere i soldi in tasca alla gente, che per prima cosa li usa per pagare i debiti, non certo per i consumi.
E la flat tax?
Bisognerebbe capirne di più, per ora è soltanto un nome. Ieri si parlava di tetto a 50mila euro di reddito, oggi di 65mila, e non si sa nulla sulle detrazioni. Finchè non si delineano i contorni, non sarà nemmeno possibile fare le simulazioni o i test sui contribuenti. E in questo clima di incertezza, vorrei ricordare che gli indici di fiducia di famiglie e imprese per il mese di maggio, diffusi recentemente dall’Istat, sono in aumento relativamente marcato, dopo una caduta di quattro mesi.
Come va interpretato questo sussulto?
Sta a significare che bisogna prendere con cautela qualunque posizione: attorno a questa stagnazione abbiamo dei mesi che vanno bene e mesi che vanno meno bene. E guardando ai dati sulle prenotazioni estive, che indicano una buona stagione turistica, mi vien da dire che se mai avremo una crisi, questa non arriverà prima di ottobre.
Intanto il governatore Ignazio Visco ha chiesto un’ampia riforma fiscale e Salvini ha subito sottolineato che il Paese ha bisogno di uno shock fiscale. La flat tax potrebbe bastare?
La flat tax sarebbe di per sé uno shock fiscale che va nella direzione giusta, è uno strumento da prendere in considerazione.
In cosa consisterebbe lo shock?
Nello spostamento del peso dalle imposte dirette a quelle indirette: uno viene tassato quando spende. Uno avrà quindi più soldi, ma attenzione perché qualcosa verrà tolto come detrazioni eliminate. Ma l’idea di fare la flat tax tutta in deficit, come ha dichiarato Di Maio, è un’idea un po’ approssimativa.
Proprio Visco ha ammonito che una manovra in deficit presenta più rischi che benefici, perché gli stimoli congiunturali fatti in disavanzo possono essere controproducenti. Che ne pensa?
Il Governatore ha dato la risposta standard, tutto sommato corretta. Noi schiacciamo sull’acceleratore, la macchina aumenta di velocità, ma poi viene a mancare la benzina, che dobbiamo comprare dall’estero. Il vantaggio iniziale viene perso perché avremo un’inflazione che ci mangia i guadagni. L’abbiamo visto tante volte in passato quando si svalutava la lira. Visco su questo ha ragione.
Anziché una manovra in deficit – ha ricordato sempre Visco – sarebbe meglio fare “riforme strutturali di ampio respiro”. L’Italia negli ultimi anni ha messo mano a molte riforme. Dove si potrebbe intervenire oggi?
Ce ne sono tante di breve o medio respiro, più che una grande riforma. Generalmente abbiamo delle misure di liberalizzazioni o che riguardano le imprese pubbliche locali, dove si annidano sacche di inefficienza. Ci sarebbe una lista abbastanza lunga. Lì bisognerebbe intervenire.
Il governatore ha chiesto anche “uno sforzo corale lungo una direzione di marcia che la politica deve indicare con chiarezza”. Lei oggi lo vede un progetto strategico?
No, e questa è una caratteristica di tutti i partiti: si guarda ai prossimi tre-sei mesi, ma nessuno si pone il problema di cosa possa succedere tra 10 anni. E’ quello che tragicamente manca alla politica italiana.
Un’ultima domanda. “Saremmo stati più poveri senza l’Europa – ha affermato Visco in chiusura delle Considerazioni – e lo diventeremmo se dovessimo farne un avversario”. E’ d’accordo?
Sulla prima parte dell’affermazione penso che Visco avesse in mente soprattutto la Banca centrale europea: un giorno o l’altro bisognerà che qualcuno eriga un monumento a san Mario Draghi per il suo modo di affrontare il problema dei deficit di tutti i Paesi, in particolare quello dell’Italia. Ci ha garantito anni di respiro. Sul futuro, bisogna vedere cosa succederà a livello di nuova Commissione europea. Non credo che nessuno ce l’abbia davvero con noi: sono sì preoccupati per la tendenza populista, dissonante con i grandi Paesi Ue, ma di lì a dire che vogliono punirci con una multa perché non siamo abbastanza bravi ce ne corre. La multa, piuttosto, ce la diamo tutti i giorni con l’andamento dello spread.
(Marco Biscella)