L’Eurostat ha certificato una ripresa dell’economia dell’Eurozona, nel corso del secondo trimestre dell’anno, pari al 2%, con Spagna e Italia (rispettivamente con un +2,8% e un +2,7%) a guidare la graduatoria dell’aumento del Pil. Nel nostro Paese è andata particolarmente bene la produzione industriale, con un incremento del 20% tendenziale nel primo semestre dell’anno. «Che ci potesse essere un robusto rimbalzo che ci ponesse tra i primi Paesi in Europa – spiega Vittorio Coda, Professore emerito dell’Università Bocconi, dove ha insegnato Strategia e Politica Aziendale – era un po’ scontato, dato che l’anno scorso abbiamo patito più degli altri gli effetti della pandemia e delle misure di lockdown. La ripresa della produzione industriale è andata forse ogni oltre aspettativa, anche se dal comparto manifatturiero le buone notizie non mancavano».
Da che punto di vista?
Condivido l’analisi del Direttore della Fondazione Edison, Marco Fortis, sull’effetto importante che ha avuto Industria 4.0. Il piano di incentivi del Governo Renzi, messo a punto dall’allora ministro dello Sviluppo economico Calenda, ha avuto degli effetti straordinari consentendo l’avvio di una serie di investimenti che ha portato a un aumento della produttività del settore manifatturiero superiore negli ultimi 5 anni a quella degli altri principali Paesi europei. Questa ripartenza post-Covid che stiamo commentando è conseguente agli investimenti che sono stati intrapresi grazie a quel piano e che non si sono sostanzialmente interrotti, pur tra le note difficoltà, lo scorso anno.
Il Pil dell’Italia è cresciuto più della media europea e le previsioni per il 2021 continuano a essere riviste al rialzo. Cosa può portarci a dire che non siamo di fronte a un mero rimbalzo ma che stiamo vedendo l’inizio di una vera fase di ripresa?
È difficile rispondere a questa domanda. Credo però sia molto importante considerare le variabili di tipo psicologico, il clima positivo e di fiducia che è stato innescato dal Governo Draghi e che è stato poi alimentato anche dai successi sportivi della nostra nazione. Un clima che può contribuire a segnare l’inizio di una ripresa destinata a durare, ma che deve essere alimentato. Se infatti il processo di cambiamento e modernizzazione del Paese, che passa anche dalle riforme indicate dall’esecutivo, si dovesse arenare, rischiamo di ritrovarci in una situazione che ci farà purtroppo vedere questa ripresa come un rimbalzo meramente congiunturale. Penso che anche per questo il mondo produttivo auspichi che l’esecutivo possa portare avanti il lavoro cominciato.
Occorre insomma che si porti a compimento quello che si è iniziato a impostare nei primi sei mesi di attività del Governo.
Credo sia un punto fondamentale. Il clima positivo che si è creato è una variabile soft e così come si è innescato a un certo punto può anche evaporare. Perché possa durare bisogna che venga alimentato e non si interrompa il percorso che è stato intrapreso riguardo le importanti riforme strutturali di cui il Paese ha estremo bisogno.
Il clima creato dal Governo Draghi è riuscito a riavvicinare gli investitori stranieri al nostro Paese?
Il tasso di fiducia sull’Italia è senz’altro aumentato. È ancora presto per poter dire se si è tradotto o meno in una crescita degli investimenti esteri. Credo però che se il clima positivo di cui abbiamo parlato perdurerà, sicuramente la fiducia nei confronti dell’Italia porterà con sé anche investimenti dall’estero. Soprattutto se si riusciranno a realizzare i giusti interventi per il Mezzogiorno, che ha problemi infrastrutturali più urgenti del Ponte sullo Stretto, per esempio per quel che riguarda gli acquedotti, la viabilità e la sicurezza. Questo è un aspetto molto importante da considerare, perché al Sud c’è un potenziale di crescita della produttività enorme.
Cosa pensa delle preoccupazioni che ci sono riguardo gli effetti che può avere sulla nostra industria il piano europeo per la riduzione delle emissioni di CO2?
Sono preoccupazioni fondate. Credo che l’Ue persegua un giusto obiettivo, ma l’accelerazione che ha impresso al processo di transizione ecologica mette in difficoltà la filiera dell’auto, che include le aziende produttrici di componenti – dove l’Italia ha delle eccellenze – i quali non saranno non più necessari per l’auto elettrica. Occorre quindi affrontare questi problemi delicati relativi a una buona gestione della transizione, che si inserisce nel discorso più ampio relativo al cambiamento verso un mondo che sarà completamente diverso da quello al quale siamo stati fin qui abituati.
(Lorenzo Torrisi)
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