L’Economic Outlook diffuso ieri dall’Ocse non dipinge un quadro positivo per l’economia mondiale. Quest’anno si stima una crescita globale del 2,9%, il tasso più basso dalla crisi finanziaria, evidenzia l’organizzazione parigina, secondo cui l’Italia crescerà dello 0,2%, mentre l’anno prossimo dello 0,4%. A differenza di quanto stimato due settimane fa dalla Commissione europea, il 2020 non sarà un buon anno per la Germania, che dovrebbe passare da +0,6% a +0,4%. «Mettendo insieme quello che è successo anche solo negli ultimi tre mesi, tra governi saltati, elezioni che hanno cambiato il quadro politico, tensioni in Medio Oriente, rinvio della Brexit e impeachment negli Usa, in tutto il mondo ci sono situazioni anomale. Ed è difficile quindi avere un’economia regolare», ci dice Mario Deaglio, Professore di Economia internazionale all’Università di Torino.



L’Ocse ha visto al rialzo il Pil dell’Italia da -0,2% a +0,2%, ma, come del resto ha fatto mercoledì la Commissione europea, evidenzia il problema del nostro elevato debito pubblico. Cosa ne pensa?

Ho sempre pensato che la previsione negativa di marzo dell’Ocse sul nostro Pil fosse troppo pessimista. È vero che ci sono grosse crisi aziendali, ma c’è anche un insieme di realtà sorprendentemente positive, anche nelle esportazioni. Sicuramente la nostra economia si porta dietro il peso di settori troppo maturi, come quelli dell’acciaio, problemi irrisolti di grandi imprese come Alitalia, oltre che il fardello del debito pubblico, che comunque è basso, parliamoci chiaro. L’idea diffusa nel corso dell’estate anche sui media per cui saremmo colati a picco è stata smentita dalla realtà, ma dobbiamo comunque cercare di migliorare la situazione sedendoci in primo luogo al tavolo europeo e negoziando pazientemente.



Quale dovrebbero essere l’oggetto di negoziazione?

Dobbiamo anzitutto chiedere risorse per gli investimenti sul territorio e in ambito verde, tema su cui mi sembra ci sia una disponibilità della futura Presidente della Commissione Ursula von der Leyen. In cambio dovremmo garantire un’amministrazione pubblica che funziona meglio e costa meno. Certo questo non si fa in un anno, però bisognerebbe cominciare a realizzare qualcosa di ragionevole.

Il livello del nostro debito pubblico non è da ritenere preoccupante?

Non più preoccupante di quanto lo è stato negli ultimi anni. Il debito è più o meno stagnante, i tassi di interesse sono diminuiti, anche perché ci hanno aiutato. Finché la Bce porta avanti l’attuale politica monetaria, bene o male riusciamo a mantenere questo debito, non c’è motivo per cui debba esplodere una crisi. Tiriamo abbastanza avanti, dobbiamo gestire l’ordinarietà di un malato cronico.



Che non è comunque uno bello scenario.

Non lo è per nessuno. Gli Usa crescono del 2%, ma hanno una popolazione che aumenta dell’1,5%. Il che vuol dire che praticamente sono fermi. Noi abbiamo un Pil a +0,2%, ma una popolazione che decresce. Siamo quindi sì messi peggio degli altri, ma non così tanto. Siamo tutti più o meno sulla stessa barca. Almeno per il momento, se andiamo a fondo ci andiamo tutti insieme.

L’Italia deve fare i conti con tanti tavoli di crisi e situazioni come quelle dell’Ilva e di Alitalia che rischiano di avere dei contraccolpi importanti per l’economia.

Sull’Ilva ci sono due cose da dire. La prima è che il consumo di acciaio nelle economie avanzate è in diminuzione perché i nuovi materiali riescono ad avere delle prestazioni maggiori, soprattutto nelle produzioni che fino a dieci anni fa si sarebbero fatte solo con l’acciaio. Oggi c’è consumo importante solo nelle costruzioni e nelle infrastrutture. Anche Tata ha annunciato degli esuberi. La seconda è che l’Italia ha certamente bisogno mantenere una produzione di acciaio, perché non va bene dipendere dall’estero per questo, anche perché siamo la decima economia del mondo, ma occorre un po’ di visione nel medio termine. Se devo salvare l’Ilva e togliere risorse ai tanti settori di ricerca italiana, per esempio l’aerospazio, che sta andando benissimo, allora dico no.

Secondo l’Ocse, l’area euro crescerà dell’1,2% quest’anno e dell’1,1% il prossimo. Non pensa che occorrerà fare qualcosa per migliorare questa situazione?

Sì, anche perché finora abbiamo due aree in cui c’è una vera unione. La prima è il commercio estero, la seconda è la Bce. Queste due aree, guardando in una prospettiva di 5-6 anni, non bastano. Parlo da economista e non so quale politica possa essere messa in atto, ma occorre che ci sia un cambiamento che porti a Bruxelles maggiori incombenze e anche capacità di spesa.

È un cambiamento possibile?

Credo che l’idea della von der Leyen sia proprio avocare all’Ue tutta la parte relativa agli investimenti verdi e finanziarla tramite parte delle tasse dei singoli paesi che andrebbero direttamente a Bruxelles. In questo modo può cominciare a nascere veramente un Governo europeo. Il Parlamento sarebbe lì non solo a dire buone parole, ma ad approvare programmi concreti. Bisognerebbe anche fare in modo che la Bce possa fare credito all’Ue, cosa impedita oggi per statuto. Il punto è che noi come Europa siamo su un piano inclinato: o saliamo o scendiamo. Se non saliamo con maggiore integrazione, allora scendiamo, non possiamo stare fermi. Scivolare all’indietro vuol dire però andare verso una rottura, che per l’Italia vuol dire fare la fine dell’Argentina.

(Lorenzo Torrisi)