Nella giornata di lunedì sembra essersi capovolto il quadro che vedeva l’Italia “locomotiva” d’Europa. Nel secondo trimestre, infatti, il nostro Pil è sceso su base congiunturale dello 0,3%, mentre nell’Eurozona è cresciuto dello 0,3%. Come se non bastasse, l’inflazione a luglio è stata pari al +6% su base annua, contro il +5,3% di tutta l’area dell’euro.
Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, osserva che «il segno negativo davanti al Pil del secondo trimestre ce l’hanno anche altri Paesi, come la Svezia e l’Austria, mentre la Germania si è fermata a zero dopo essere già entrata in recessione tecnica. Mi sembra, quindi, che stiamo scontando il fatto che abbiamo una politica monetaria che, per definizione, riguarda tutta l’Eurozona e non può essere differenziata tra gli Stati membri. Ed essendo passata la linea del rialzo dei tassi quale unico strumento per ridurre l’inflazione, non ci si poteva che attendere un rallentamento dell’economia reale che ha riguardato l’Italia e anche altri Paesi».
Sostanzialmente sta dicendo che il dato del secondo trimestre è dovuto alla stretta della Bce?
Sì, siamo di fronte a una classica manovra monetarista e, per usare una metafora, prima che arrivi un po’ di sole dobbiamo fare i conti con parecchia pioggia.
Vedendo però il dato sull’inflazione non sembra che la stretta monetaria stia funzionando…
La riduzione dell’inflazione è in atto, tanto che in alcuni Paesi è decisamente significativa e si è arrivati già nell’intorno del target del 2%. Il problema vero è che la politica monetaria è unica per tutta l’Eurozona e ci sono alcuni Paesi che, per loro capacità o per la struttura economica di cui sono dotati, ne escono meglio: per esempio, Spagna e Portogallo, che hanno registrato una diminuzione del tasso di inflazione, senza una frenata eccessiva del Pil.
Negli Stati Uniti, però, la Fed ha alzato i tassi, l’inflazione è scesa e il Pil ha tenuto. Come mai?
Negli Usa, oltre alla stretta della Fed, c’è stata anche una politica fiscale espansiva che riguarda tutti gli Stati Uniti, essendoci un coordinamento a livello federale. Qui non abbiamo al momento una politica fiscale che possa essere modulata e coordinata per aree economiche dell’Europa e questo problema nella fase attuale si è fatto sentire più che mai. Di fatto, su questo fronte, ogni Paese deve fare per sé, rispettando le regole fiscali comuni.
Che scenario si delinea per l’Europa e per l’Italia?
Se la ricetta della politica monetaria si rivelerà appropriata assisteremo a un’ulteriore fase di stasi dell’economia, spero non troppo lunga, dopodiché la politica monetaria potrà anche tornare a essere espansiva con una riduzione dei tassi che potrebbe favorire la ripresa. Non dobbiamo, però, dimenticare che, oltre alla mancanza di una politica fiscale realmente europea, dobbiamo fare i conti con altri fattori come l’andamento dei mercati asiatici.
Cosa ci può dire al riguardo?
La Cina è in forte difficoltà vista la situazione del suo mercato immobiliare e se il gigante asiatico frena la Germania ha più difficoltà a ripartire e questo crea dei problemi anche all’Italia. Dobbiamo, quindi, considerare che siamo più sensibili di altri Paesi a quello che accade nel quadro del commercio internazionale.
Visti i limitati spazi fiscali a disposizione, l’Italia come può cercare di contrastare il rallentamento dell’economia?
Il Pnrr è utilizzato in maniera parziale e non adeguata. È disperatamente necessario che noi si sia in grado di mettere a terra, di mobilizzare queste risorse che non sono usate come potremmo. Questo è un momento di crisi internazionale. Non è una grande crisi, ma certamente incide.
Forse ci renderemmo conto dell’esistenza di questa crisi se realizzassimo che la Germania è in recessione tecnica e in stagnazione nonostante la mole di risorse a disposizione e utilizzate…
Esattamente. La Germania ha le spalle larghe, ma non abbastanza per rispondere a una crisi dei mercati asiatici.
(Lorenzo Torrisi)
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