Secondo l’Istat, l’Italia quest’anno crescerà dello 0,2%, “in deciso rallentamento rispetto all’anno precedente”, mentre nel 2020 il Pil farà segnare un +0,6%. Le prospettive per l’economia italiana nel 2019-2020 diffuse ieri dall’Istituto nazionale di statistica non sono poi molto incoraggianti se esistono “alcuni rischi al ribasso rappresentati da possibili evoluzioni negative dei conflitti tariffari e delle turbolenze geopolitiche con riflessi sfavorevoli sull’evoluzione del commercio internazionale e sul livello di incertezza degli operatori”. Abbiamo chiesto un commento a Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.



Professore, qual è il suo commento su queste previsioni?

Il primo dato di fatto che emerge è che per il 2019, ma anche e soprattutto per il 2020, viene confermata la “normalità” di una crescita dell’Italia in coda nella classifica delle principali economie mondiali. Un paio di settimane fa, infatti, l’Ocse ha diffuso le sue stime che arrivano fino al 2021, dove restiamo ultimi, anche alle spalle del Giappone, notoriamente rappresentato come un Paese in pieno ristagno. Leggo insomma una sfilza di tassi di crescita che sono sistematicamente superiori ai nostri.



L’Istat fa stime anche sulle principali componenti del Pil. C’è qualcosa che la colpisce e che può spiegare questo nostro ritardo?

L’Istat stesso sottolinea che “gli investimenti fissi lordi mostrano un profilo in rallentamento, con tassi pari a +2,2% nel 2019 e +1,7% nel 2020”. Questa è la nota dolente, perché ciò di cui abbiamo bisogno come l’ossigeno per respirare diminuisce anziché aumentare. Conoscendo il crollo drammatico che c’è stato in passato per gli investimenti fissi lordi, sono onestamente molto preoccupato.

Ci può ricordare a cosa corrispondono gli investimenti fissi lordi?



Si tratta degli investimenti pubblici e privati nel loro complesso, al lordo, cioè inclusi gli ammortamenti. Pochi anni fa, abbiamo registrato investimenti netti in territorio negativo, motivo per cui ci si attenderebbe che la leva degli investimenti venisse usata in modo forte ed energico, tenuto anche conto dello stato delle nostre infrastrutture che recentemente è tornato alle cronache. L’Istat ci sta dicendo che non è così. Noi abbiamo bisogno di aumentare, migliorare, rinnovare lo stock fisso di capitale.

Perché?

Perché gli investimenti fissi sono un flusso e la crescita prevista dell’1,7% per l’anno prossimo dal mio punto di vista è disperatamente poco, tenuto conto del crollo verticale che noi abbiamo avuto dopo la crisi del 2008 e soprattutto dopo quella più infausta del 2012. Non abbiamo purtroppo alcun segnale del fatto che stiamo recuperando terreno rapidamente sugli investimenti.

Ci sono altri dati che la colpiscono?

Anzitutto leggiamo che la domanda interna, al netto delle variazioni delle scorte, passerebbe dal +1,1% del 2018 al +0,7% del 2020. Inoltre, l’Istat scrive che “l’economia italiana continua a essere caratterizzata da una prolungata fase di bassa crescita della produttività. Nel periodo 2014-2018, in Italia la produttività del lavoro, misurata in termini di ore lavorate, è aumentata in misura contenuta (+0,3% la crescita media annua), con un ampliamento del divario rispetto all’area euro (+1,0%). In particolare, nel 2018 la produttività del lavoro è diminuita dello 0,3%, sintesi di una crescita delle ore lavorate (+1,3%) superiore a quella del valore aggiunto (+1,0%)”. E poi aggiunge che “l’andamento della produttività si lega con la dinamica particolarmente modesta dei ritmi produttivi che si estende anche all’anno corrente”.

Perché sono importanti questi rilievi sulla produttività?

Questi dati sulla produttività rispecchiano molto da vicino il rallentamento della crescita del valore aggiunto, dei salari netti. Inoltre, ci dicono molto anche dello stato della nostra competitività, un fattore che fa la differenza.

Se ci fossero più investimenti, migliorerebbero produttività, competitività e domanda interna?

Sì, dato che la produttività misura anche la dinamica retributiva si potrebbe incidere sui consumi. Su questo fronte l’Istat segnala che “per il 2019 si prevede un incremento dei consumi delle famiglie e delle ISP in termini reali (+0,6%) in rallentamento rispetto all’anno precedente, che si accompagnerebbe a un deciso aumento della propensione al risparmio”. Ripetiamo da anni che il toccasana per i nostri problemi è la crescita, ma continuiamo ad aspettarla come Godot.

Ovviamente dovrebbe essere la stessa politica economica italiana a puntare sugli investimenti, ma cosa pensa di quello che potrebbe fare l’Europa, stante il fatto che Ursula von der Leyen ha chiarito che ci saranno sì investimenti verdi, ma con precise caratteristiche e “paletti”?

La Presidente della Commissione europea ha fatto bene a muoversi in questa direzione per evitare che ci siano degli investimenti verdi solo di facciata. Questa è una grande opportunità, perché si tratta di investimenti fortemente innovativi che migliorano in maniera sensibile anche la qualità della nostra crescita. Spesso si sottovaluta quanto questo tipo di investimenti abbia forti analogie con quelli di alta gamma in tutti i settori.

(Lorenzo Torrisi)