Due interventi svolti in settimana da Riccardo Realfonzo ai microfoni di RaiNews24 e da Giorgio La Malfa sulle colonne del Sole 24 Ore – economisti di generazione diversa ma di eguale scuola di pensiero – hanno affrontato il tema dei temi una volta superato lo shock del coronavirus: che cosa fare adesso che è accertato il malessere dell’economia in Italia e soprattutto in Europa con il calo della produzione e del Pil?



La corda può essere tirata in due direzioni diverse: da una parte riesumando le politiche del rigore conosciute sotto il Governo di Mario Monti, dall’altra facendo l’esatto contrario inaugurando una stagione realmente espansiva come hanno fatto e farebbero gli americani per i quali crescita di ricchezza e occupazione valgono bene un aumento di deficit. Insomma, siamo di fronte a un bivio e prima o poi una decisione va presa.



È anche vero che per affrontare il dilemma con cognizione di causa, e scegliere una soluzione tra le due prospettate, occorre avere chiaro il problema. Cosa che ai nostri giorni non va data per scontata. Ma pur giocando all’eterno rinvio, facendo magari leva sui dolorosi fatti di cronaca che distolgono l’attenzione dal punto nevralgico, prima o poi bisognerà farsi venire il coraggio che manca. Nel frattempo, seguiamo i ragionamenti di La Malfa e Realfonzo.

Non c’è dubbio che l’istinto dell’esecutivo in carica, e dei partiti che lo esprimono, sia quello di alzare le tasse (il tentativo di inventarne alcune nuove e stravaganti è nel ricordo di tutti) e per questa via cercare di tenere sotto controllo i già stressati rapporti deficit/Pil e debito/Pil da cui dipende in buona parte il giudizio del mercati e quindi la valutazione di affidabilità dei nostri conti che influisce in ultima analisi sulla grandezza dello spread.



Tirare la cinghia – farla tirare agli italiani – e compensare con politiche assistenziali del tipo Reddito di cittadinanza e Quota 100 può servire ad aggiustare i conti, ma è esattamente quello che porta ad avvitarci in un circolo vizioso di sempre minore crescita e poi decrescita come i fatti e i numeri si stanno incaricando di dimostrare. L’Italia è il Paese che si sviluppa meno in un’Europa quasi ferma. Il che dovrebbe indurre a pensare e agire diversamente.

L’alternativa è bell’è pronta ed è suggerita dalla più autorevole istituzione europea che è la Banca centrale, diventata davvero tale anche sotto il profilo politico dopo la gestione irrituale e salvifica di Mario Draghi che attraverso lo strumento del Quantitative easing – immissione di liquidità nel sistema – è riuscito a evitare che il malessere dell’economia si trasformasse in una crisi con effetti devastanti sulla produzione e l’occupazione.

Bisogna avere il coraggio – e anche la capacità, certo – di mettere in atto una manovra espansiva che accompagni e non contrasti l’azione della Bce facendo tutti gli sforzi possibili per avviare un poderoso ciclo d’investimenti pubblici, segnatamente nelle infrastrutture che crollano e che mancano, utile ad attivare un altrettanto poderoso ciclo d’investimenti privati restituendo la fiducia perduta agli operatori italiani e attirando quelli esteri.

Ma per fare questo occorre creare un clima favorevole all’intrapresa, cosa che oggi proprio non è. Ci vogliono certezza del diritto, semplificazione burocratica, lotta agli sprechi (compresi Reddito e Quota 100), un fisco più equo e leggero, formazione. Il tutto per recuperare quante più risorse possibile dal lato della spesa e riversarle su quello degli investimenti aprendo per prima cosa tutti i cantieri che restano colpevolmente chiusi.