Nel giorno in cui la Banca mondiale ha rivisto al ribasso le stime del Pil globale per il 2021 le borse globali hanno festeggiato con una giornata da incorniciare. La notizia di giornata però non è strettamente finanziaria ma politica dopo l’esito dell’elezione dei senatori dello Stato americano della Georgia con cui i Democratici si sono assicurati anche la maggioranza al Senato. In questo momento i Democratici controllano la Presidenza, con Biden, la Camera dei rappresentanti e, da ultimo, il Senato. Questo assicura che la politica economica e finanziaria americana si svilupperà senza che si debbano raggiungere accordi complicati con l’opposizione. Per questo i mercati salgono premiando la certezza di una politica monetaria ed economica leggibile.
I Democratici potranno decidere sulla spesa pubblica e sulle tasse senza problemi. La scommessa dei mercati è che gli stimoli all’economia e la spesa pubblica saliranno con il supporto della Fed che continuerà a finanziare deficit crescenti per sostenere un’economia devastata dalle restrizioni e dalle quarantene. Chiedere ai mercati e agli investitori, in questa fase, di farsi domande sulle conseguenze di medio lungo periodo di queste politiche è troppo. Per il momento basta essere relativamente sicuri che un’economia “reale” in crisi verrà lenita da spesa pubblica e i mercati verranno supportati dalla banca centrale. Il corollario inevitabile è l’indebolimento del dollaro che però, nella testa dei dem, potrebbe aiutare le esportazioni. L’unico “problema” nel breve periodo è che dollaro debole vuol dire prezzo delle materie prime in salita; questo è, tra l’altro, esattamente quello a cui abbiamo assistito ieri e nelle ultime settimane.
Quanto possa durare questo schema è una domanda a cui si fa veramente fatica a rispondere. Si può tenere in piedi l’economia a forza di sussidi e spesa pubblica solo fino a un certo punto, poi cominciano a emergere problemi. Il primo, appunto, è un’inflazione cattiva fatta di aumenti delle materie prime che vengono subiti in modo maggiore proprio dalle categorie più deboli; il secondo è che chiudere l’economia, regalando soldi e lasciando le persone a casa ha degli ovvi disincentivi al lavoro e alla fine alla produzione. Chi lavora e chi produce se ti pagano indefinitamente per non lavorare? Nel medio periodo questo rischia di avere ripercussioni sull’offerta.
Il mix di quarantene, restrizioni, lockdown, spesa pubblica in deficit e liquidità piacciono agli investitori che “lucrano” sui mercati che salgono; gli investitori però non hanno alcun interesse a porsi problemi di medio-lungo periodo e di fuori dall’orizzonte temporale dei mercati. Se lo facessero farebbero perdere dei soldi ai loro clienti. Meglio cavalcare l’onda fino a che dura e mettere via adeguati cuscinetti per gli inevitabili contraccolpi.
Questo discorso va bene per chi sta sui mercati e non per chi ne è fuori per esempio perché non ha risparmi investiti sulle borse. Per i secondi quando le politiche monetarie e fiscali arrivano al limite non ci sono paracaduti. Quello che si sta producendo è esattamente quello che si è visto dopo il 2008 con l’allora governatore della Fed, Janet Yellen, che metteva per iscritto un aumento delle diseguaglianze in America senza precedenti; sotto la presidenza democratica di Obama. Oggi di tutto questo non si parla perché tutti si attendono che i Democratici attuino politiche redistributive. Ma non funziona. Alla fine le politiche redistributive non possono che entrare nelle tasche del ceto medio, dell’uomo della strada che nel caso specifico dovrà restituire gli aiuti pagando di più la benzina o la casa o uno dei mille riflessi della liquidità sui mercati e del contemporaneo blocco dell’economia, per esempio sulla disponibilità dei beni
Diciamo un’eresia. Tentare di tenere aperto e lasciare la gente al lavoro magari in modo rozzo e senza troppa burocrazia limiterebbe i danni degli stimoli fiscali e monetari primo perché ne occorrerebbero di meno, dato che la gente lavora, e poi perché non si creano strati di disoccupati cronici con effetti perniciosi soprattutto sulla generazione che si affaccia sul mondo del lavoro.
Cerchiamo di allungare ancora di più lo sguardo. Trump non sarebbe esistito senza le scelte di politiche monetaria ed economica dell’era Obama; quelle che creavano disuguaglianza a ritmi mai visti secondo l’analisi di una “dem” come Janet Yellen. L’uomo della strada si è, giustamente, sentito fregato ed è corso a votare un super outsider, brutto, cattivo e populista, come Trump. Cosa potrebbe accadere, politicamente, e quanto in fretta se la politica economica che si apre è la stessa del 2009 ma moltiplicata per dieci? Nel 2016 ha prodotto Trump. Nel 2024?
Per chi deve investire queste domande sono non solo inutili ma anche dannose. Però è molto difficile non farsele. Una piccola postilla: oggi in Italia si assiste al ritorno in auge degli amici di Biden e di Obama. Se si ripetesse la sequenza del 2009 ma per dieci sia finanziariamente che politicamente cosa accadrebbe alla fine da noi?