L’Ue si prepara a introdurre nuove sanzioni verso Mosca, che inevitabilmente avranno effetti anche sull’economia europea, soprattutto se verranno interessate anche le forniture di gas russo, cruciali per alcuni Paesi, in particolare Italia e Germania. Si materializza sempre di più lo spettro di una recessione fatto già aleggiare nei giorni scorsi dal Centro studi di Confindustria. «Penso che occorra attendere la stima dell’Istat – ci dice Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano – e vedere se il Pil del primo trimestre dell’anno è stato negativo o meno. Poiché è molto probabile, stante la situazione del conflitto e dell’andamento dei prezzi, che il secondo lo sarà, se lo fosse anche il primo, allora c’è effettivamente la possibilità di una recessione tecnica. Al di là di questo, credo che il dato che più conta nel Rapporto del CSC sia un altro».



Quale?

L’abbassamento significativo delle previsioni di crescita per tutto l’anno (riduzione di almeno 2,2 punti all’1,9%, ndr). Risulta infatti chiaro che il risultato del 2022 sarà generato quasi esclusivamente dalla crescita ereditata dal “magico” 2021: quello slancio straordinario, dovuto a fattori reali dell’economia, purtroppo è frustrato da questo evento apocalittico che è il conflitto in Ucraina. Se le stime del CSC troveranno riscontro, ci troveremo di fronte non a uno scenario recessivo vero e proprio, ma a uno scenario di stagnazione. Molto dipenderà, però, dall’andamento e dalla durata del conflitto, su cui non mancano le incertezze.



Non si può escludere che si arrivi anche all’interruzione delle forniture di gas russo o alla scelta dei Paesi europei di farne a meno. Non sarebbe opportuno avere già un piano italiano che stabilisca delle priorità in caso di razionamento?

Sicuramente lo sarebbe. Io credo che vada data anzitutto priorità alle infrastrutture: le ferrovie devono continuare a funzionare. Sarà poi importante capire come determinare le priorità industriali rispetto a quelle civili, tenendo presente che in determinate fasce orarie sarà importante garantire le forniture alle famiglie, per esempio per la preparazione dei pasti. Penso poi che non si possa pretendere di salvaguardare la continuità di un settore solo perché energivoro razionando le forniture di quelli non lo sono, ma che magari forniscono un contributo al Pil superiore. È chiaro in ogni caso che, essendo una situazione limite, il razionamento non sarà mai perfetto: il Governo sarà chiamato a scelte non facilissime che inevitabilmente scontenteranno qualcuno.



Probabilmente un fattore importante sarà anche quello del prezzo della materia prima energetica: a nessuno piace produrre in perdita…

Certo, ma è un problema che riguarda la maggior parte delle imprese europee, escludendo forse quelle francesi. In Italia ci sono imprese che stanno lavorando in perdita o quasi, ma sono forti, perché fortunatamente negli ultimi anni si sono irrobustite, e stanno portando via quote di mercato ai competitor stranieri. Tuttavia, non mancano, magari nello stesso settore, aziende marginali, con una bassa patrimonializzazione, che invece sono in apnea. Penso comunque che il Made in Italy terrà abbastanza in questo quadro. Se ad affrontare questa situazione ci fosse stata l’industria italiana del 2010 sarei stato molto più preoccupato.

Il ministro della Transizione ecologica Cingolani, avendo in mente anche il costo dell’energia per il settore manifatturiero italiano, ha detto che “la madre di tutte battaglie è avere un limite al prezzo del gas”. Cosa ne pensa?

Sicuramente, aiuterebbe, ma è chiaro che questa è una scelta che può reggere solo se presa a livello europeo. Non penso starebbe in piedi come soluzione nazionale. 

Cosa si aspetta dal Def che dovrebbe essere approvato questa settimana dal Governo?

Più che entrare nel merito di quelle che sono le linee di politica economica che verranno illustrate nel Def, penso che l’aspetto su cui è più facile ragionare è la forte riduzione delle stime di crescita e credo che il Governo sarà molto prudente per il 2022, perché le indicazioni che stanno emergendo dai diversi centri di ricerca sono estremamente negative dal punto di vista dell’intensità del rallentamento. Va da sé che uno scenario di stagnazione prolungato rimette in gioco anche lo stesso orizzonte del Pnrr.

Secondo lei, il Pnrr andrebbe rivisto?

Credo che sia un problema che debba porsi l’Europa, che non può pensare di non rivedere quelle che sono le sue scelte di fondo, il Next Generation Eu e il Green Deal, solo perché hanno un orizzonte di realizzazione lontano. Infatti, tali tempi più lontani si costruiscono tramite una successione di tempi vicini e ormai il 2022 sta andando a rotoli sia sul fronte della transizione ecologica, visto che si parla di riattivare le centrali elettriche a carbone, che del Ngeu, dal momento che per i Governi nazionali è difficile attuare i Pnrr secondo tempi e modi che sono stati stabiliti prima del conflitto. Prima o poi, quindi, l’Europa dovrà dare una risposta anche su questi due macrotemi cruciali.

(Lorenzo Torrisi)

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