Secondo gli ultimi dati Eurostat, il Pil dell’Eurozona nel terzo trimestre ha fatto segnare un -0,1% congiunturale, mentre l’occupazione è cresciuta dello 0,2%. «A prima vista sembra una contraddizione – ci spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano -, ma potrebbe non esserlo in quanto solitamente i dati sul mercato del lavoro registrano con qualche mese di ritardo gli effetti di un rallentamento dell’economia».
C’è comunque il segno meno sul Pil. Come giudica questo dato?
Guardando anche i dati dei singoli Paesi, ci sono segnali di rallentamento non lievi, anche per quel che riguarda due economie importanti come Germania e Francia, che hanno fatto registrare entrambe un calo del Pil dello 0,1%. Può darsi che sia un fenomeno congiunturale, ma non vedo in generale segni robusti di una crescita dell’attività produttiva.
Nel nostro Paese, però, un piccolo segnale positivo è dato dalla crescita a ottobre delle vendite al dettaglio, anche a volume (+0,3%), certificato dall’Istat.
È certamente un dato positivo, soprattutto perché le vendite a volume non crescevano da maggio. Ritengo, tuttavia, sia meglio attendere fiduciosamente le rilevazioni relative ai mesi successivi, che tra l’altro saranno caratterizzati dagli acquisti natalizi. In generale, però, l’Italia e l’Europa attualmente viaggiano appena sopra la linea di galleggiamento. Chiaramente è meglio che trovarsi al di sotto di essa, ma al momento mancano segnali netti che facciano intravvedere un’evoluzione di molto positiva.
Il calo del Pil nell’Eurozona è arrivato in una fase di discesa dell’inflazione: significa che quest’ultima è dovuta al rallentamento dell’economia?
Sì, è così. Bisogna anche avere chiaro in mente che la diminuzione della crescita tendenziale dell’inflazione, pur essendo una buona notizia, non significa che il livello dei prezzi sia in discesa, soprattutto se comparato con quello di due anni fa. Come se non bastasse, il potere d’acquisto, considerando che i salari non aumentano allo stesso ritmo dell’inflazione, continua a calare. In questo senso il rinnovo dei contratti potrebbe essere d’aiuto. Nel frattempo l’arrivo delle tredicesime darà una boccata d’ossigeno alle famiglie.
Questi sono giorni importanti per le decisioni che devono essere prese a livello europeo: la riforma del Patto di stabilità e il Consiglio direttivo della Bce. Guardando a questi dati cosa è bene augurarsi?
Per quanto riguarda la Bce, ritengo siano positivi i segnali di disponibilità a non aumentare i tassi e la non esclusione a priori di un loro taglio nel 2024. Sul fronte monetario, quindi, c’è apparentemente una buona notizia per il credito a imprese e famiglie, le cui condizioni potrebbero, anche se marginalmente, migliorare, con effetti positivi anche a livello produttivo. Per quel che riguarda la riforma del Patto di stabilità, invece, non stanno arrivando segnali incoraggianti, anzi.
A che cosa si riferisce?
Da un lato, il tempo stringe e ancora non c’è un accordo. Dall’altro, sul tavolo ci sono le regole fiscale che, verosimilmente, varranno per i prossimi dieci anni almeno. Si tratta, quindi, di un passaggio chiave, che deve essere gestito in modo oculato, avendo ben in mente che non c’è stata la convergenza che si auspicava tra le economie europee, ma anzi sono cresciuti i divari. Se il nuovo Patto si limitasse a prendere atto di questi divari, allora non ci sarebbe più spazio per la convergenza.
In effetti si parla tanto di traiettorie, parametri e paletti riferiti a deficit e debito pubblico su Pil, ma poco di investimenti e politiche per ridurre i divari tra i Paesi…
Sembra sia così ed è un segnale della mancanza di un’idea europea. Di questo passo, ad andare bene l’Europa non andrà in pezzi, ma certamente rimarrà tenuta insieme con abbondante colla e manovre dell’ultimo momento già viste in passato.
Resterebbe, quindi, lo status quo attuale, senza una vera svolta.
Questo è un momento molto delicato. Se il nuovo Patto di stabilità, dopo più di dieci anni di austerità, non verrà costruito in modo tale da favorire la crescita dell’Europa, che potrebbe diventare un player globale, mentre ora non lo è, perderemo un’occasione storica. Dalla scorsa settimana si sta parlando di “sonnambuli” con riferimento agli italiani, ma mi sembra che in realtà lo siano coloro che hanno la responsabilità politica nel Vecchio continente: sembra non si rendano conto che questo è un momento chiave per il futuro di tutti.
(Lorenzo Torrisi)
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