Non c’è che dire: stiamo vivendo tempi interessanti. L’epidemia ci ha fatto piombare in un clima di guerra sconosciuto alle generazioni del dopoguerra, mettendoci di fronte a problemi e scenari inediti. È ormai scontato che, dopo uno dei più lunghi cicli di crescita, iniziato negli Usa nel marzo del 2009, i mercati sono entrati in recessione nel marzo del 2020. Si prevede una discesa del Pil mondiale nell’ordine dell’1-1,5% nel primo trimestre, per quanto sia difficile orientarsi tra numeri che, vedi produzione industriale cinese o indice della fiducia tedesca, si rivelano peggiori delle prime stime. È molto probabile, comunque, che i dati del secondo trimestre saranno assai peggiori, nell’ordine del -5%. Partiamo da qui per cercare di individuare le tracce del mondo che verrà dopo l’epidemia.



La rapidità della ripresa dipenderà naturalmente dal virus. Se l’epidemia finirà sotto controllo, la ripresa sarà rapida e robusta, a forma di “V”. Altrimenti, sarà necessario rivedere i programmi e le strutture dell’economia maturati negli anni della globalizzazione. In ogni caso, la rottura delle catene produttive maturate in questi anni avrà effetti sul ciclo industriale e sui rapporti finanziari. Sarà un mondo più frammentato dove ciascuno tenderà a dipendere di meno dagli altri, a scapito della maggior efficienza. Sul fronte finanziario le aziende si terranno strette la liquidità: ci saranno meno buybacks o altre operazioni capaci di eccitare le Borse.



La prospettiva di ritrovarsi alla fine dell’epidemia con una diffusa moria di imprese spingerà gli Stati a intervenire a protezione dell’apparato industriale. A favorire la ripresa della presenza pubblica contribuirà la fine del tabù nei confronti del debito generato dalla spesa pubblica.

Il debito, del resto, è senz’altro destinato a salire verso vette quasi inedite di azzardo morale, ma il calo verticale della spesa per interessi sarà ancora più pronunciato. Perché prendersela per un decimale in più nel rapporto debito/Pil a fronte di tassi zero?

Le autorità hanno gestito le prime fasi della crisi con efficacia, per quanto attiene alla politica monetaria (a dimostrazione che la lezione di Lehman Brothers o della crisi greca a qualcosa sono servite). La partita si è poi spostata sul terreno della politica fiscale. E ci sarà ancora battaglia sulla destinazione delle risorse, specie all’interno dell’Unione europea. Ma cresce, nei fatti, la pressione verso una sorta di monetizzazione del debito, ovvero l’uso della valuta per assorbire i debiti. Un po’ come capita in Giappone, dove non c’è più in confine definito tra politica fiscale e politica monetaria: l’80% della Borsa di Tokyo è nelle mani della banca centrale.



Andrà così? Presto per dirlo, ma è un dato di fatto la rivincita dello Stato rispetto alle istanze liberali. Un mondo più povero disposto a sacrificare all’esigenza di una maggior sicurezza mobilità e prospettive di sviluppo. E, sul piano politico, un maggior peso degli Stati e una minor dipendenza dal commercio internazionale. Il tutto, magari, sotto le regole più severe rese possibili dall’impiego dell’Intelligenza artificiale o altre novità destinate a crescere all’ombra dell’epidemia.

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