Dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco è arrivato, nel corso di una lectio magistralis tenuta per l’inaugurazione dell’anno accademico 2020-21 del Gran Sasso Science Institute dell’Aquila, un nuovo allarme sull’economia italiana. Nonostante il Recovery fund rappresenti un’occasione straordinaria da non perdere per colmare i ritardi nella ricerca e nella digitalizzazione del Paese, il Pil italiano non recupererà i livelli pre-Covid prima del 2023. Il che allunga ancora di molti il cammino per poter ritornare alla situazione precedente la crisi del 2007. Per Mario Deaglio, Professore di Economia internazionale all’Università di Torino, non vi sono ancora dati noti per arrivare alla stessa conclusione di Visco, anche se questa è «certamente più probabile di quanto non lo fosse tre mesi fa».
Perché?
Perché dopo la fine del lockdown generalizzato di primavera è stato certamente possibile soddisfare gran parte della domanda arretrata di beni di consumo durevoli che si era accumulata nel tempo, ma ora vediamo che il turismo sta subendo un duro colpo con la cancellazione di fatto della stagione invernale e l’unico settore che sta andando meglio è quello dell’edilizia legata al superbonus del 110%. In diverse città vi sono grandi e piccoli cantieri sparsi, che non bastano però da soli a trainare l’economia. Nel frattempo le prospettive per il futuro non sono rosee, dato che la terza ondata di contagi viene data per certa e c’è da chiedersi se non ve ne sarà una quarta. In questa incertezza rimane una piccolissima maligna soddisfazione: i virologi sbagliano quasi quanto gli economisti.
Si sta dunque facendo troppo affidamento sui vaccini?
C’è una doppia incertezza riguardo i vaccini. Da un lato, anche per via dei tempi con cui sono stati realizzati e testati, non sappiamo quanto sia lunga l’immunità che possono garantire. So di persone che hanno avuto il Covid-19 e che dopo tre mesi non hanno sostanzialmente più anticorpi risultando quindi esposti al rischio di un nuovo contagio. Se accadesse qualcosa di analogo per i vaccini sarebbe un bel problema. Si dovrebbe forse ipotizzare una campagna massiva annuale, come avviene per l’influenza, ma ovviamente di proporzioni più grandi. Dall’altro lato, non è ancora chiaro se vi siano varianti del virus. Pare che in Inghilterra ne sia stata recentemente scoperta una. E non sappiamo se i vaccini sono efficaci anche contro queste varianti.
Visco ha ricordato l’importanza del Recovery fund, ma le sue previsioni sembrano in qualche modo anche ridimensionarne la portata…
In questo caso l’Italia continua a scontare un problema irrisolto: chi decide non ha poi la disponibilità delle risorse e chi ha la disponibilità dei soldi non decide. C’è una frattura nel processo decisionale per cui moltissime opere pubbliche si bloccano per anni proprio perché mancano le firme di un funzionario che non vuole rischiare di essere penalmente responsabile. È necessaria una reale semplificazione del processo, in modo che si possano compiere i dovuti controlli per evitare vengano commessi reati, senza che nel frattempo venga bloccato tutto. Diversamente non saremo in grado di sfruttare il Recovery fund, anche perché sono previsti controlli e stanziamenti a stato avanzamento lavori.
Stante la situazione che ha descritto, come possiamo sbloccare l’economia?
Corriamo il pericolo di usare le risorse europee per progetti vecchi o già pianificati. Vanno fatti anche quelli, per carità, ma il futuro di un Paese da cui i giovani continuano ad andarsene non è lì. Dobbiamo quindi anzitutto cercare di individuare, discutere tra noi, cosa vogliamo che sia l’Italia tra dieci-vent’anni. E poi agire perché questa idea di Paese diventi realtà.
All’allarme sull’andamento del Pil si aggiunge anche quello relativo al sistema bancario. C’è il rischio di rivivere una crisi come quella già vissuta in passato a causa dei Non performing loans?
Il rischio c’è ed è serio, anche i tedeschi si stanno accorgendo dell’esistenza degli Npl. Fortunatamente esiste in questo caso un vaccino, una cura, rappresentata dalle bad bank. L’esperienza dei Paesi nordici negli anni ’90 dimostra che possono funzionare e aiutare a “ripulire” il sistema bancario. Nel frattempo ci saranno probabilmente anche molte fusioni bancarie, e in questi mesi ne stiamo vedendo le avvisaglie. Non sarà certamente un periodo facile, l’importante è che si continui a garantire credito e liquidità alle imprese sane, mentre per quelle in crisi da tempo, che sono già state sostenute senza successo, è meglio pensare a un aiuto finalizzato a un fallimento ordinato piuttosto che a un finanziamento che ne prolunghi la vita di uno o due anni, con il rischio poi di determinare l’insorgere di crediti deteriorati.
(Lorenzo Torrisi)