Il Pil americano nel primo trimestre è sceso dell’1,4% annuale facendo segnare la peggiore performance dal primo trimestre del 2009 quando il mondo faceva i conti con le conseguenze del fallimento di Lehman Brothers. Il calo è stato causato dal peggioramento del deficit commerciale, da minori scorte e dalla diminuzione degli stimoli fiscali; la nota positiva è stata la spesa per i consumi cresciuta del 2,7%.
Questa è la ragione per cui nonostante un dato largamente inferiore alle attese non è venuto meno un certo ottimismo per il secondo trimestre dell’anno. Il corollario è che non sono cambiate le proiezioni di un percorso di rialzo dei tassi sostenuto nei prossimi mesi La tesi è che l’economia possa reggere tassi più alti.
Questa, da un certo punto di vista, è una scommessa obbligata perché se così non fosse la banca centrale americana dovrebbe immediatamente risolvere un dilemma: alzare i tassi in uno scenario di rallentamento economico, come potrebbe suggerire il dato di ieri, per provare a contenere l’inflazione oppure rimandare i rialzi dei tassi facendo correre ulteriormente i prezzi. Nella prima opzione si rischierebbe di incidere marginalmente sui prezzi, ma, in compenso, di affossare l’economia.
Il dato del primo trimestre sconta solo parzialmente gli effetti della guerra, iniziata a fine febbraio, che si sta prolungando più di quanto venisse ritenuto probabile nelle fasi iniziali. La spesa per i consumi sconta solo parzialmente l’accelerazione dell’inflazione degli ultimi mesi e settimane che erode il potere di consumo delle famiglie americane. Il cambio euro/dollaro ieri non ha interrotto il trend di indebolimento dell’euro. Significa che l’Europa, che è impattata dalla guerra in Russia infinitamente più degli Stati Uniti, farà peggio dell’America. Nessuno ha pensato che il dato negativo degli Stati Uniti potesse in qualche modo mettere in una luce migliore il Vecchio continente. Se la Federal Reserve ha “un problema”, la Bce ne ha uno sicuramente maggiore perché l’inflazione nel Becchio continente è in linea con quella americana, ma le prospettive economiche sono peggiori. Ieri, per la cronaca, è proseguito il rafforzamento del rublo e la banca centrale ha abbassato ulteriormente il prezzo offerto per acquistare l’oro.
Lo scenario che si fa sempre più minaccioso, se mai fossero rimasti dei dubbi, è quello della stagflazione (inflazione senza crescita). Se la crisi economica, di cui abbiamo solo le prime avvisaglie, dovesse proseguire e peggiorare si porrebbero per le banche centrali problemi che non si vedevano da decenni e che forse non si sono mai visti. In uno scenario in cui i tassi rimangono costantemente sotto l’inflazione e in cui alcune aree geografiche fanno molto meglio di altre perché, come nel caso americano, hanno maggiori disponibilità di risorse energetiche e sono più lontane dalla guerra, gli incentivi a far uscire i risparmi dal sistema sono massimi. Per esempio, non è un consiglio, un europeo potrebbe decidere di prelevare soldi e convertirli in dollari oppure di comprare una casa in un posto lontano dalla guerra, con risorse energetiche e magari crescita demografica, oppure ancora di accumulare asset fisici.
Se questo scenario si avverasse, come sembra stia accadendo proprio in questi giorni in Giappone, e dovessimo arrivare a un’inflazione galoppante condita da tassi bassi e crisi economica diventerebbero estremamente allettanti, per i governi locali, strumenti di controllo dei capitali: limite al contante, ai prelievi, strumenti di pagamento che consentano di “controllare e vedere” quello che succede nel mondo fisico. Tutti argomenti che sono di grande attualità in questi giorni.
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