È la notizia del momento: la scoperta di una pillola che permetterebbe di cambiare la storia naturale della pandemia da Covid-19. La fonte è seria e tutti ci auguriamo che la notizia non sia una fake news. Lo speriamo e attendiamo conferme dagli Enti regolatori che hanno questa responsabilità: Fda, Ema, Aifa. Tocca a loro dirci se è vero che il nuovo farmaco può guarire dal virus che ha fatto milioni di morti nel mondo intero nell’arco di quasi due anni. Si tratta di una pillola che dimezza tempi di ricovero in caso di attacco del coronavirus e riduce drasticamente il rischio di morire, anche per questo si parla del 50% di risultati positivi.
Stiamo parlando di un farmaco nato in casa Merck, una delle più grandi aziende farmaceutiche degli Stati Uniti. Una scoperta che viene resa pubblica dopo tutta una serie di esperimenti e di controlli. È il molnupiravir, pillola antivirale per cui la Merck ha chiesto l’autorizzazione alla Food and Drugs Administration americana dopo aver concluso gli studi di fase 3. Il numero dei decessi nei pazienti che avevano preso la nuova pillola era la metà rispetto al gruppo di controllo a cui era stato somministrato solo un placebo.
Concretamente il 7,3% contro il 14,5%. Una volta fatta la diagnosi di infezione da Covid, il farmaco va assunto due volte al giorno per 5 giorni, senza che insorgano effetti collaterali pesanti o pericolosi per il paziente. Si tratta del primo farmaco che risponde a queste tre caratteristiche fondamentali: efficacia terapeutica, facilità di somministrazione, assenza di conseguenze negative. Non solo. Il campione era stato selezionato scegliendo pazienti che presentavano, in aggiunta al Covid, almeno un altro sintomo importante, come diabete, obesità e/o età avanzata. Il farmaco, fa sapere l’azienda, ha dimostrato una “efficacia consistente” nei confronti di numerose varianti del nuovo coronavirus, compresa la variante Delta.
Sono condizioni che rendono particolarmente interessante l’uso di questo farmaco: adattabilità e resilienza anche in condizioni di disagio oggettivamente gravi. La Merck ha voluto sperimentare il farmaco puntando alla complessità dei pazienti a cui somministrarlo, proprio per garantirne l’efficacia.
Ovviamente questa scoperta si va ad aggiungere a tutti i risultati ottenuti con l’intensa campagna di vaccinazione che si sta facendo nel mondo intero, per prevenire l’infezione e contenere la pandemia.
Rappresenta però una svolta importante sia per pazienti ancora non vaccinati che dovessero contrarre il virus, sia per quei pazienti già vaccinati che comunque incorrono nella malattia. La facilità di somministrazione e la standardizzazione delle procedure necessarie per confezionare il nuovo farmaco permettono di superare le complessità legate agli anticorpi monoclonali, che finora rappresentavano l’unica terapia di provata efficacia.
L’unica vera difficoltà della nuova terapia antivirale è la precocità della diagnosi, che deve essere il più tempestiva possibile. La terapia risulta infatti inefficace nel caso di pazienti ricoverati in ospedale e giunti dopo un iter della infezione già avviato da giorni.
È certamente un elemento in più di speranza. Sappiamo bene come in medicina molte patologie possono essere sconfitte solo se diagnosticate il prima possibile e trattate con i farmaci giusti fin dal primo momento: il tempo è sempre il grande alleato della cura e obbliga tutti noi medici a disporre di strumenti per la diagnosi precoce. Gli screening, le tecniche di imaging sempre più sofisticate, gli esami emato-chimici alla ricerca di marcatori sempre più precisi: tutto concorre a rendere più efficace un farmaco e quindi a migliorare le condizioni di vita di un paziente. Ad oggi quindi, se anche questo farmaco sarà confermato nella sua efficacia dalla Fda americana prima e poi dall’Ema e da Aifa, potremo immaginare un trattamento dell’infezione da Covid nelle classiche tre tappe: prevenzione (i vaccini), cure precoci (il molnupiravir) e in casi più gravi o tardivamente diagnosticati, in terza battuta, gli anticorpi monoclonali.
Superata questa fase pandemica con tutti gli strascichi che ancora comporta anche sul piano socio-economico, potremo convivere con il virus affrontandolo come le altre infezioni; curando i malati senza scivolare nel rischio di dover trattare ognuno di loro come un fattore di contagio pericoloso da isolare con quarantene sempre più difficili da gestire.
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