Sbarca nelle farmacie italiane la pillola cosiddetta anti-Covid, il Molnupiravir, che si troverà in commercio con il nome di Lagevrio. Prodotta dal colosso americano farmaceutico Merck Sharp & Dohme in partnership con Ridgeback Biotherapeutics, è stato il primo farmaco in pillole indicato per la cura dell’infezione da coronavirus a essere registrato. Non condivide la scelta di distribuirlo nelle farmacie il professor Silvio Garattinifondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano da noi intervistato: “È un farmaco indirizzato a una categoria ben precisa di persone, tutti coloro che a causa di tumori o di trapianti non sviluppano una difesa immunitaria sufficiente con il vaccino, per cui i medici che la prescrivono sono medici che seguono questa determinata categoria di persone”.



Ha inoltre un costo molto elevato, ci ha detto ancora Garattini, “più di 500 euro circa per completare il ciclo completo di due pillole al giorno per cinque giorni”. Infine si tratta di un farmaco dalla capacità piuttosto limitata: “Solo il 30% delle persone infettate reagisce positivamente, il restante 70% deve essere ospedalizzato”.



La pillola anti-Covid è un antivirale che non sostituisce il vaccino, è corretto?

Sì, esattamente. La sua potenza è molto minore del vaccino, l’efficacia di questo farmaco è del 30%, diminuisce cioè solo del 30% la possibilità di fermare una malattia in forma grave o la mortalità: una percentuale molto lontana da quella che si ottiene con il cortisone. Però mentre il cortisone esercita la sua efficacia quando c’è la malattia in corso, questa pillola la esercita solo se viene somministrata entro 5 giorni dall’avvenuta infezione.

Come si inquadra questo farmaco nella strategia anti-Covid?



Si tratta di una utilizzazione iniziale per coloro che sono in chemioterapia o hanno subito un trapianto di organo, pazienti che sono poco sensibili alla risposta immunitaria indotta dal vaccino. Ed è per questo che ritengo sia un errore metterla in distribuzione in farmacia, perché ci deve essere una prescrizione molto selezionata. E poi ha un costo elevato: oltre 500 euro per completare il ciclo di 5 giorni.

Ha senso assumerla per chi non è vaccinato?

No, perché le probabilità di avere un vantaggio sono molto piccole. Dato che la protezione è del 30%, vuole dire che il 70% di quelli che prendono la malattia non sarebbero protetti. E poi ci sono non poche controindicazioni.

Quali?

Ad esempio non va somministrata alle donne in stato di gravidanza o in allattamento. Gli studi clinici dicono che gli effetti collaterali non sono elevati, poi però bisogna vedere come viene somministrato il farmaco, magari insieme ad altri, e bisogna fare le opportune distinzioni. È ancora presto per dire che è ben tollerato.

Si dice che il suo vantaggio principale, visto che si può prendere a casa, è di evitare l’intasamento degli ospedali, è corretto?

Certamente. Però parliamo sempre del 30% dei casi. Il 70% di persone colpite andrebbero comunque in ospedale.

Non sembra che sia poi questo gran farmaco come viene invece descritto.

Non è un grande risultato, anche se è meglio di niente per quei gruppi di persone che hanno una scarsa risposta immunitaria. Per questo motivo deve essere data a soggetti ben precisi, non si può prescrivere a qualunque persona.

Si attende anche un nuovo vaccino, il Novavax. Cosa sappiamo?

È impostato in modo diverso dagli altri vaccini. È fatto con le proteine del virus, non con l’Rna. Essendo proteine estranee all’organismo, determinano da parte di quest’ultimo la risposta immunitaria.

Si può usare il Novavax nella terza dose dopo aver preso gli altri tipi di vaccino?

Per adesso, che io sappia, non c’è esperienza. In linea generale, cambiare il vaccino rappresenta un vantaggio perché potenzia l’efficacia.

E l’utilizzo in sede di cura degli anticorpi monoclonali?

Anche questi anticorpi agiscono all’inizio dell’infezione e poi durano un certo tempo, non sostituiscono i vaccini. L’arma principale e più sicura è sempre la vaccinazione.

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