Il disco definitivo della storia del rock? A giudicare dal numero di copie vendite (45 milioni, il terzo più venduto di sempre) si direbbe di sì. Ma che valore ha oggi, 50 anni dopo la sua uscita, The Dark Side of the Moon? Per molti fan della prima ora dei Pink Floyd segnò la fine del gruppo, quella band nata nell’underground londinese dei magici anni 60, guidata da Syd Barrett, il profeta della psichedelia più estrema che proprio per l’uso estremo degli allucinogeni pagò il prezzo più alto, la schizofrenia. Per tanti nuovi adepti era invece il disco che apriva le porte del cosmo, quello meglio registrato di tutti i tempi, con effetti sonici, rumori, battiti del cuore, voci fantasma, e una manciata di canzoni straordinarie.
Senza Barrett, con a bordo un nuovo chitarrista, David Gilmour, i PF erano diventati una band che esplorava le dimensioni del suono, senza più però affidarsi alle droghe. Erano uno dei tanti gruppi prog del periodo. The Dark Side of the Moon segnò la svolta, aprendo la strada a un poker d’assi che avrebbero segnato gli anni 70: questo, poi Wish you were here, Animals e The wall. E, in modo inquietante, erano tutti dischi segnati dalla presenza/assenza del loro fondatore: lo invocavano, subivano il fascino oscuro della sua malattia e alzavano forte il grido della disperazione dell’uomo moderno, perduto negli abissi di una promessa illusoria, quella della scienza e delle tecnologie che avrebbero dato la felicità: welcome to the machine.
The Dark Side of the Moon esplora temi come il conflitto tra il singolo e la società, l’avidità, il tempo, la morte e la malattia mentale. Tra una canzone e l’altra appaiono frammenti di interviste con alcuni membri della touring crew della band insieme a citazioni filosofiche. La copertina, che raffigura uno spettro prismatico, fu ideata dal grafico dei Pink Floyd, Storm Thorgerson, in risposta alla richiesta del tastierista Richard Wright di un design “semplice e audace” che rappresentasse “l’illuminazione” della band e i temi dell’album. Non si trattava di astronomia, nonostante il riferimento a quella parte del nostro satellite che rimane sempre nell’oscurità, ma piuttosto a quella parte delle nostre personalità che giacciono nelle parti oscure del cervello e che possono esplodere nella malattia mentale. Il titolo originale del disco infatti era Dark Side of the Moon: A Piece for Assorted Lunatics, “il lato oscuro della luna, una pièce per pazzi assortiti.
Presentato dal vivo più di un anno prima della pubblicazione, lasciò a bocca aperta pubblico e critici musicali: nessuno aveva mai osato musiche come queste. Il disco vero e proprio sarebbe stato registrato tra il 31 marzo 1972 e il 9 febbraio 1973, nei leggendari Abbey Road Studios dove i Beatles avevano inciso i loro capolavoro, con l’aiuto imprenscindibile del geniale tecnico Alan Parsons.
Ogni lato dell’album è un brano musicale unico, suddiviso in cinque tracce e ogni lato del disco riflette le varie fasi della vita umana, che iniziano e finiscono con un battito cardiaco, esplorando la natura dell’esperienza umana. Speak to Me e Breathe evidenziano gli elementi banali e futili della vita che accompagnano la minaccia sempre presente della follia e l’importanza di vivere la propria vita. Spostando lo scenario in un aeroporto, la strumentale On the Run guidata dal sintetizzatore evoca lo stress e l’ansia dei viaggi moderni. Time esamina il modo in cui il passaggio del tempo può monopolizzare la propria vita e dà un avvertimento a coloro che rimangono concentrati su attività banali; Breathe (Reprise) rappresenta il ritiro nella solitudine. Il primo lato dell’album si conclude con la metafora emozionale della morte nella straordinaria The Great Gig in the Sky di cui è autore Richard Wright impreziosita dall’incredibile performance vocale della cantante Clare Torry.
Il suono di registratori di cassa e di monete tintinnanti apre la seconda facciata del disco: Money ironizza l’avidità e il consumismo della società occidentale. Basata su un classico giro blues, è caratterizzata dal dirompente assolo di chitarra di David Gilmour ed è diventato il loro singolo di maggior successo di sempre. Us and Them affronta l’isolamento causato dalla malattia mentale, usando il simbolismo del conflitto umano e l’uso di semplici dicotomie per descrivere le relazioni personali. Any Color You Like affronta l’illusione della scelta che offre all’individuo la società capitalista. Brain Damage esamina la malattia mentale causata dalla fama e dal successo; in particolare, la frase “e se la band in cui ti trovi inizia a suonare melodie diverse” riflette il crollo mentale dell’ex compagno Syd Barrett. L’album si conclude con Eclipse, che unisce i concetti di alterità e unità, costringendo l’ascoltatore a riconoscere i tratti comuni condivisi dalle persone.
Un disco come non se ne erano mai sentiti prima. Oltre a dozzine di particolari effetti sonori, la band ebbe l’idea di registrare delle interviste sui temi del disco con risposte tipo: “Non ho paura di morire. Qualsiasi momento andrà bene: non mi dispiace. Perché dovrei avere paura di morire?”. Il custode degli studi se ne uscì con “non c’è un lato oscuro nella luna, davvero. In realtà è tutto buio”. Vennero intervistati anche Paul e Linda McCartney, ma le loro risposte sembravano troppo artificiose nel tentativo di sembrare divertenti. Ma vennero tenute le parole di uno degli Wings, Henry McCullough: “Non lo so, ero davvero ubriaco in quel momento”.
Pubblicato il primo marzo 1973, il disco ebbe subito un successo clamoroso, continuando a vendere anche oggi. Probabilmente la definizione più azzeccata per il nuovo corso musicale dei Pink Floyd è quella di “rock psicologico”, approfondito ancora di più nei successivi dischi, in particolare Wish you were here, dedicato in modo lampante a Syd Barrett. Roger Waters fu il principale autore di questa esplorazione lirica dei disturbi mentali, mentre le musiche furono opera di tutti e quattro i membri, ma con il tempo Waters assunse sempre di più la leadership del gruppo in modo quasi dittatoriale, portando a una lite legale e morale che continua ancora oggi. Recentemente, il bassista ha ri-registrato da solo l’intero disco, causando nuove polemiche. In un certo modo The Dark Side of the Moon è l’inizio della fine dei Pink Floyd: l’incerta situazione che vivrà la band dopo questo disco, in cui la dimensione individuale ed egotista di Roger Waters cercherà sempre di più risposte ai suoi dilemmi personali, metterà in ombra la crescita personale e professionale della band. Fino al “final cut” voluto da Waters, nel vano tentativo di mettere fine per sempre alla storia dei Pink Floyd.
E’ il prezzo che si paga quando si vuole entrare troppo “nel lato oscuro della luna”.
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