E’ uscito ieri il libro autobiografico di Pippo Inzaghi “Il momento giusto”, e fra le pagine dello stesso riemergono vecchie ruggini fra l’ex bomber e allenatore della Reggina, e l’attuale guida tecnica della Juventus, Massimiliano Allegri. In uno stralcio del libro, Super Pippo parla del suo ritiro e a riguardo punta il dito proprio nei confronti del Conte Max: “Era stato Allegri a chiudere la mia carriera da giocatore. Io e il Milan, infatti, nella primavera del 2012 avevamo trovato un accordo per prolungare di un anno il mio contratto. Io sarei stato un importante collante nello spogliatoio che nel giro di poco tempo aveva perso Maldini, Pirlo, Nesta, Gattuso, Seedorf. Elementi di spessore che avevano lasciato un vuoto profondo. Non avrei accampato alcuna pretesa…”.
“Galliani era felice – ha continuato Inzaghi – di aver trovato insieme a me questa soluzione. Allegri invece la bocciò, non mi voleva più nello spogliatoio e lo disse al dirigente chiedendo che non mi fosse rinnovato il contratto. Per me fu una mazzata”. L’episodio in questione avvenne di preciso al termine della stagione 2011-2012, e sembra che i due siano anche quasi venuti alle mani: al Vismara, quando Inzaghi allenava gli Allievi del Milan, l’allenatore livornese salutò Inzaghi, che di rimando rispose “Per me non esisti”. Allegri a sua volta replicò, insultandolo davanti a tutti, arrivando quasi allo scontro fisico, così come si legge sul sito de La Gazzetta dello Sport.
INZAGHI E L’ANNO BUIO NEL 2015: “IL PALLONE ERA SGONFIO…”
Per Pippo Inzaghi è stata dura restare lontani dai campi da gioco: “Nell’autunno del 2015 per la prima volta il pallone era sgonfio: non rimbalzava più. E non riuscii ad assorbire la lontananza dal mio mondo, dal profumo dell’erba, dalla sacralità dello spogliatoio. Mi alzavo al mattino e non sapevo come arrivare a sera. Andavo in palestra, ma senza entusiasmo, solo per far trascorrere il tempo, riempire la giornata ed evitare che la noia e lo sconforto prendessero il sopravvento”.
Il tecnico racconta anche di aver temuto di essersi ammalato di Sla: “Il mio corpo mi mandava segnali inequivocabili di malessere. Mi sono spaventato. Anzi, lo dico chiaramente e senza vergogna: ho avuto paura. Ho fatto quattro gastroscopie e altre analisi poco piacevoli, viaggiavo sempre con un borsello pieno di cd con ecografie e risonanze che mostravo a vari specialisti. Ho temuto di avere qualcosa di grave, perfino la Sla. Sono stati mesi di disagio e sofferenza, in cui faticavo a trovare una via d’uscita. Qualcuno lo chiama male di vivere, qualcuno in un altro modo, io ho preferito dribblare definizioni e diagnosi e affrontare la realtà. Ho capito qual era il problema e l’ho superato poco alla volta, circondandomi dell’amore della famiglia. I miei genitori sono stati eccezionali: hanno compreso ciò di cui avevo bisogno”.