Nella lunga chiacchierata con Walter Veltroni sul Corriere della Sere, Beppe Pisanu ripercorre i giorni difficili del Delitto Moro e con essi l’intera parentesi tra Dc e Forza Italia nel suo lungo “cursus honorum” nella politica italiana. E le sorprese non mancano: nel 1978 l’ex Ministro degli Interni era un deputato e capo della segreteria politica di Benigno Zaccagnini, tra i maggiori disponibili alla “trattativa” con le Brigate Rosse per liberare il leader Dc nel pieno del compromesso storico con il Pci. «Le Br scelsero il 16 marzo per il rapimento perché eravamo alla consacrazione parlamentare del progetto politico di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer». Secondo l’ex azzurro, sia Moro che Berlinguer erano fortemente “pressati” a livello internazionale per quel patto poi mai nato fino in fondo proprio per l’attentato contro il leader democristiano: Pisanu e Zaccagnini sperarono per diversi giorni nella trattativa e nell’esito positivo, «momento almeno per me più positivo, fu la lettera di Paolo VI agli uomini delle Brigate rosse. Mi illusi che, avendo ottenuto un’interlocuzione così alta, i brigatisti potessero considerare raggiunti gli scopi politico propagandistici della loro impresa e quindi desistere dall’andare oltre. Però al di fuori di quel momento, no, non ci fu mai nulla di così convincente da far sperare nella sua liberazione».
PISANU E LA P2
Come già più volte riscontrato negli anni a venire, contrari a quella operazione di salvataggio di Moro (e quindi del successivo compromesso storico col PCI) c’erano sia Mosca che Washington: «Quando il Partito Socialista ruppe il fronte della fermezza emerse l’idea che era possibile una qualche forma di trattativa con le Brigate rosse. Quello che ricordo bene è che il 26 aprile Zaccagnini, nonostante i pareri dei capigruppo dc Piccoli e Bartolomei e di altri amici, decise di andare lui da Craxi per chiedergli che cosa esattamente si potesse proporre», racconta ancora Pisanu che aveva sperato in quel dialogo per costituire una maggioranza in parlamento solida per dare il via alla trattativa. Me ne fu ampiamente deluso: «Craxi ipotizzò solo la possibilità di concedere la grazia a tre terroristi che non si fossero macchiati le mani di sangue. Questo passo di Zaccagnini suscitò anche critiche da altre parti politiche, dal Partito repubblicano al Partito comunista, che temettero un’intesa tra Craxi e Zaccagnini. Era un tempo di sospetti politici che avvelenavano la ricerca di una soluzione: mentre Pci e Pri temevano una convergenza tra Dc e Psi in casa socialista si temeva invece che l’intesa sulla linea della fermezza tra Zaccagnini e Berlinguer potesse stringersi come una morsa politica sul Partito socialista italiano», racconta ancora l’ex Ministro degli Interni.
Chiosa finale con “sospetto” su P2 e servizi segreti: sulla prima, «la scoperta di iscritti alla P2 nel comitato che indagava a me ha provocato grande inquietudine, sapevo dell’ostilità diffusa che c’era in certi ambienti nei confronti della segreteria Zaccagnini e di Moro. Moro ci aveva trasmesso la percezione chiara che nel Paese c’era una destra profonda, annidata negli angoli bui della società e delle istituzioni, contraria ad ogni forma di rinnovamento». Sui servizi invece, un piccolo ma importante “sospetto” si annida in Pisanu: «Come fa un fenomeno come quello delle Brigate rosse a passare inosservato agli occhi di Servizi segreti oculatissimi e presenti in Italia massicciamente fin dagli inizi della guerra fredda? Non ho nessun elemento concreto per accampare sospetti, penso però che non sia casuale il fatto che terroristi italiani potessero tranquillamente viaggiare da Roma a Parigi, da Parigi al Nordafrica e dal Nordafrica magari in Nicaragua», conclude il politico intervistato dal CorSera.