Gli ultimi dati sul mercato de lavoro americano, usciti ieri, hanno confermato un ottimo stato di salute con il numero di occupati cresciuto di oltre 500 mila unità a luglio. All’inizio di questa settimana anche le statistiche sul mercato del lavoro italiano sono state positive; i principali media hanno dato risalto a un tasso di occupazione ai massimi dal 1977. Di fronte a questi numeri è inevitabile chiedersi come mai si continui a parlare di rallentamento economico e perché i consumi e la fiducia delle imprese stiano rallentando.
Una prima ipotesi potrebbe essere un normale ritardo tra l’andamento del mercato del lavoro rispetto al ciclo economico. Le imprese prima di ridimensionare il personale attendono conferme più tangibili sullo stato di salute dell’economia in autunno. Nel frattempo mantengono inalterati, o quasi, i livelli occupazionali. È una spiegazione possibile a cui se ne deve aggiungere un’altra.
I salari reali non hanno e non stanno tenendo il passo dell’inflazione. I salari medi americani non sono cresciuti del 10% neutralizzando l’incremento medio dei prezzi. Lo stesso si può dire in Italia e più in generale in Europa. I dati ufficiali sull’inflazione oltretutto danno solo in parte la misura dell’incremento dei costi per una famiglia media perché alcune componenti del paniere, tendenzialmente quelle più discrezionali, in questa fase vengono sacrificate in favore delle voci di spesa più necessarie: alimentari, trasporto, gas e elettricità su tutte.
Quello che sta avvenendo sia sui mercati dell’energia che in termini di catene di fornitura globale costituisce un cambiamento di paradigma dell’economia che non ha eguali negli ultimi decenni. Invece si continua a leggere la realtà economica con le stesse lenti e gli stessi strumenti di sempre. Una fetta crescente dei salari e dei costi delle imprese è dedicata all’energia e subisce gli effetti di catene di fornitura meno efficienti perché l’evoluzione dei rapporti internazionali le accorcia e bisogna costruire capacità nei Paesi “sviluppati”.
Questo è il buco nero in cui spariscono i redditi dei lavoratori. Più si acuiscono la crisi energetica e quella geopolitica, più i dati a cui normalmente si guardava per misurare la salute dell’economia perdono significato. Questa è la ragione dell’apparente incongruenza tra un mercato del lavoro in teoria solido e il deterioramento di altre grandezze economiche: i consumi, il mercato immobiliare, la fiducia delle imprese e i nuovi ordini per citarne alcuni.
Questa incongruenza è all’origine della distanza tra la narrazione sull’economia e la percezione che ne hanno le persone “fisiche” e le famiglie che non si ritrovano con i titoli di giornale sul mercato del lavoro e il “Pil”. Per ridurre questa distanza bisognerebbe spiegare le conseguenze della “guerra” e delle politiche “green”. In assenza di una spiegazione rimane uno spazio di nessuno che continua a ingrandirsi all’oscuro di molti.
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