Non più solo la bandiera di Napoli, ma sempre più un simbolo dell’intero Paese, un’icona del Made in Italy. È il ritratto della pizza, e di tutto il mondo che gira attorno a questo piatto principe della cucina tricolore, dipinto da un’indagine condotta da CNA Agroalimentare secondo la quale margherita & co. hanno ormai ridotto la loro connotazione regionale a favore di una caratterizzazione produttiva nazionale.
La conferma viene dai dati. Lo studio rivela infatti che tra il 2019 e il 2021 le attività inerenti alla pizza sono diminuite del 4,2%, vale a dire una perdita di 5.366 unità, scendendo nel complesso a quota 121.529. Ma soprattutto certifica che a subire l’arretramento più brusco è stata la patria della pizza, la Campania, dove si è perso il 41,1% delle attività, in valore assoluto 7.173 locali. Un calo che fa precipitare il numero delle realtà attive nella regione a 10.263. La situazione all’ombra del Vesuvio non è però la sola a mostrare criticità nel Sud del Paese: il Lazio lascia sul terreno il 34,8% delle sue pizzerie, l’Abruzzo il 28,4%, la Sicilia il 14,8%, l’Umbria il 13%.
All’opposto, brilla, sempre nel Meridione, la Basilicata, che mette a segno un’accelerazione del 102,6% e vince sul fronte della graduatoria stilata sul parametro della densità di locali per abitanti con un’attività ogni 206,3 residenti. Ma questa è l’unica nota positiva che si registra al Sud: se si guardano i numeri, infatti, il segno più campeggia quasi esclusivamente solo al Nord. La Val d’Aosta corre a +75%, il Friuli Venezia Giulia a +59,8%, il Trentino Alto Adige a +39,5%. Ma soprattutto va segnalata la crescita esplosiva delle regioni settentrionali più grandi. La Lombardia, grazie a un incremento del 24,6%, incrementa complessivamente il numero delle attività legate al mondo della pizza di 3.489 unità, raggiungendo un totale complessivo di 17.660, traguardo che le permette di scalzare la Campania dal gradino più alto del podio. Ma non vanno dimenticati neppure gli aumenti di Emilia Romagna (+1.496 attività), Veneto (+1.268 attività) e Piemonte (+1.148 attività).
L’indagine sottolinea inoltre come la pandemia abbia modificato la composizione del mercato in termini di tipologia di locali. Secondo i dati della survey, infatti, tra il 2019 e il 2021 i ristoranti-pizzeria, quelli che offrono un servizio più articolato e presentano scontrini più elevati, hanno subito una, seppur limitata, battuta d’arresto, calando di 87 unità e passando così da 39.989 a 39.902 unità. Va detto però che dietro questo dato si nascondono autentici crolli in Campania (1.376 in meno, pari al -28,2%) e nel Lazio (744 in meno, vale a dire il -23,42%) e per contro importanti balzi in Trentino Alto Adige (935 inaugurazioni ossia il +239,13%), Emilia Romagna (1.012 aperture pari al +48,37%), Veneto (508 inaugurazioni, +28,56%), Lombardia (636 aperture, +12,45%).
Al contrario, le pizzerie da asporto, favorite dalle restrizioni sanitarie e dal lavoro da remoto che costringevano in casa, hanno beneficiato nello stesso periodo di una crescita del 38%, vale a dire 5.367 unità in più, arrivando a toccare così le 19.669 attività complessive. In questo caso, la progressione migliore in valore relativo è appannaggio della Basilicata (+2.088%), ma è la Lombardia ad avere fatto registrare la crescita più sostanziosa in termini assoluti, con 2.348 inaugurazioni di pizzerie da asporto, pari al +151%. Male anche qui le altre regioni centro-meridionali: -32% le attività in servizio in Calabria, -12% in Campania, -9% nel Lazio.
Nonostante l’arretramento, però, tra le pizzerie da asporto la terra partenopea continua a primeggiare, con 1.849 attività, seguita da Lombardia (1.559) e Sicilia (1.552).
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