Che fine ha fatto il plasma iperimmune contro il Coronavirus? Nella puntata di questa sera de Le Iene si torna ad affrontare un tema particolarmente attuale, anche se finito nel dimenticatoio nell’ultimo periodo. Nel servizio del programma di Italia 1 intervengono il professor Massimo Franchini, Direttore del reparto Immuneomatologia e Medicina trasfusionale di Mantova e il professor Francesco Menichetti, primario di Malattie Infettive all’ospedale di Pisa. Il primo ce l’ha con la burocrazia per il blocco sullo studio del plasma iperimmune: “Se arrivasse una seconda ondata siamo nella cac*a”, dice. Il collega gli fa eco e chiede regole semplificate per completare lo studio: “Se in 10 giorni si attivassero i centri importanti in un mese faremo numeri significativi”, afferma Menichetti. “Vogliamo dare il nostro contributo ma la burocrazia è molto pesante”, ribadisce ancora Franchini. Menichetti, in chiusura di servizio, si domanda come mai lo studio non progredisca proprio in quelle regioni che ad oggi ne avrebbero più bisogno. (Aggiornamento di Jacopo D’Antuono)



SERVIZIO SUL PLASMA IPERIMMUNE ALLE IENE

Nel corso della puntata de Le Iene in onda questa sera, i riflettori si accenderanno nuovamente su un tema attuale ma che nell’ultimo periodo è passato un po’ in sordina: che fine ha fatto il plasma iperimmune come cura contro il Coronavirus? Proprio nell’intervista concessa al Corriere della Sera da Davide Parenti alla vigilia della nuova puntata, lo stesso ideatore de Le Iene ha spiegato come abbiano seguito l’esperienza di Mantova, Padova e Pavia sul tema del plasma iperimmune come terapia per il virus: “È una strada che non ha praticato nessuno a parte Zaia. E siamo andati a capire perché non ne parla nessuno e non ci si è impegnati davvero in questo senso”, ha commentato. Sarà l’inviato Alessandro Politi a tornare sull’argomento e a parlarci dei risultati ottenuti in questi mesi grazie al plasma iperimmune usato nel trattamento di pazienti colpiti dal Covid-19. Pamela è una delle persone che hanno potuto usufruire del plasma iperimmune: incinta e positiva al Covid, non avrebbe potuto prendere nessun altro farmaco. A distanza di cinque mesi, oggi sta bene insieme alla sua bimba: “Io sto bene, la bimba sta benissimo. Grazie alla nostra cura al plasma abbiamo vinto contro il Covid”. Ma la domanda che si è posta la iena è un’altra: come stanno andando le banche del plasma?



PLASMA IPERIMMUNE CONTRO COVID: A CHE PUNTO È LA TERAPIA?

La raccolta di plasma iperimmune in Italia fatica a partire: come mai? Cercherà di scoprirlo l’inviato de Le Iene Alessandro Politi dopo aver sentito alcuni esperti tra cui il prof. Massimo Franchini, direttore immunoematologia e medicina trasfusionale di Mantova che ha commentato: “In Lombardia purtroppo non è stata fatta”. Di fatto, quindi, tutto è rimasto fermo a maggio. Ma perchè nel plasma non ci ha mai creduto nessuno? A commentare quanto accaduto nel nostro Paese è stato anche il professor Francesco Menichetti, Direttore dell’Unità di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa e investigatore principale per la cura con il plasma iperimmune. In una intervista a Fanpage.it ha parlato di una situazione alimentata “da ritardi burocratici e amministrativi e da procedure di attivazione diverse per ogni singola azienda ospedaliera”. Su oltre 70 centri che hanno aderito alla sperimentazione, al momento ne sono attivi solo 16 ed in tutto sarebbero stati arruolati solo 50 pazienti, ovvero “lontani dai 476 pazienti previsti dalla sperimentazione e dai 250 che ci permetterebbero una prima analisi preliminare”. Come spiega il prof Menichetti, non possiamo ancora dire se si tratta o meno di una terapia efficace e sicura: “In generale, possiamo dire che la terapia si è mostrata sufficientemente sicura e ben tollerata ma manca ancora una chiara dimostrazione del suo benefico nel Covid-19”. Risultati incoraggianti sono stati tuttavia visti a Pavia e Mantova. Vero è che, come ha aggiunto l’esperto, “Occorre fare di tutto per non sprecare un’occasione scientifica importante, che per la ricerca italiana potrebbe significare un nuovo inizio”.