La terapia con plasma iperimmune è utile, ma non come si pensava all’inizio della pandemia Covid. Sembra infatti funzionare solo come trattamento nelle prime fasi della malattia, quando gli effetti dell’infezione sono contenuti. Invece non riduce il rischio di peggioramento respiratorio o di morte nei pazienti che si trovano già in gravi condizioni. Questi i risultati dello studio clinico “Tsunami” coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e promosso anche dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). I ricercatori hanno esaminato l’effetto del plasma con alto titolo di anticorpi neutralizzanti e lo hanno associato alla terapia standard, poi hanno confrontato i i risultati. Nello studio sono stati coinvolti diversi centri trasfusionali, laboratori di virologia e centri clinici a livelli nazionale. In totale, sono stati esaminati i dati di 487 pazienti (di cui 324 in Toscana, 77 in Umbria, 66 in Lombardia e 20 da altre regioni) con comorbidità e terapie concomitanti simili, provenienti da 27 centri clinici distribuiti sul territorio nazionale. A 241 di loro è stato assegnato il trattamento con plasma e terapia standard, ai 246 restanti solo la terapia standard.



Dall’analisi dei risultati non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa «nell’end-point primario (necessità di ventilazione meccanica invasiva o decesso entro 30 giorni dalla data di randomizzazione)». Quindi, lo studio non ha evidenziato alcun beneficio della terapia con plasma iperimmune in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi 30 giorni.



NUOVO STUDIO PER EFFICACIA IN PRIME FASI?

L’efficacia della terapia con plasma iperimmune è stata riscontrata solo con pazienti che avevano una compromissione respiratoria meno grave, ma servono comunque degli approfondimenti, perché questa indicazione positiva «non ha però raggiunto la significatività statistica». Per i ricercatori è opportuno «studiare ulteriormente il potenziale ruolo terapeutico del plasma nei soggetti con Covid lieve-moderato e nelle primissime fasi della malattia». Per Francesco Menichetti, direttore dell’Unità operativa di malattie infettive dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana i risultati dello studio sono importanti, perché è comunque emerso «un debole segnale di beneficio se usato in pazienti che all’inizio del percorso ospedaliero hanno una non grave insufficienza respiratoria».



Quindi, ritiene utile approfondire l’uso del plasma iperimmune, che è sicuro e privo di tossicità. «Durante il nostro studio abbiamo potuto verificare anche che il suo utilizzo non ha mai creato eventi avversi gravi», ha dichiarato a Il Messaggero. L’Istituto superiore di sanità (Iss) però precisa che «il trattamento è risultato complessivamente ben tollerato, anche se gli eventi avversi sono risultati più frequenti nel gruppo che ha ricevuto il plasma».