L’insostenibile pesantezza della maglia numero 10. Soprattutto quando te la sfili. Il tormentato addio di Francesco Totti alla Roma e a stretto giro la notizia dei nuovi guai giudiziari di Michel Platini raccontano di quanto sia difficile per un fuoriclasse trovare un posto nel mondo che non sia il prato dove tracciava i suoi ghirigori vincenti. Il problema del “dopo”, per un grande campione, rappresenta più incognite rispetto a quelle che incontreranno le vite dei colleghi meno illustri.
Adattarsi a una nuova vita non è facile. Una volta si trattava soprattutto di soldi. I campioni in bianconero (parliamo di tv) non guadagnavano come adesso che con una decina di anni buoni, se non credi a uno che ti vende una miniera d’oro in Belucistan o non diventi azionista di una ferrovia sull’Himalaya, ne hai per te e per un paio di generazioni dopo di te.
Facendo un gioco di parole, una volta il problema era contare i soldi. Ora è contare. Trovare il proprio posto nel mondo. In alto, equivalente, più o meno, a quello di prima. Michel Platini l’aveva trovato, dopo un breve tentativo come allenatore. Avrebbe contato come dirigente. Prima responsabile del Mondiale di Francia ’98, non proprio il migliore come organizzazione, ma per i francesi un trionfo. Michel stava in tribuna accanto a Chirac e “Les Bleus” furono campioni del mondo. Poi la presidenza dell’Uefa, poi la scalata alla Fifa, prima con, poi contro Blatter. Per il figlio di un immigrato della provincia di Novara, una carriera da “uno che conta”.
Ma il colonnello Sepp Blatter, novello Sansone, lo trascinò con sé nella sua rovinosa caduta da padrone del calcio mondiale. Dopo tre anni verrà dichiarato estraneo ai fatti dalla magistratura elvetica, ma intanto la sua carriera è finita.
Proprio ripensando a come è finito l’altro caso, la cautela ora è d’obbligo. L’impressione è che Michel abbia deciso di contare un po’ troppo, che sia giunto in quel luogo dove altri contano anche per te. Noi oggi possiamo solo riflettere sulla solitudine del campione fuori da quel rettangolo dove giocava a fare dio e aveva la fortuna di avere i nemici tutti davanti a sé.