“Ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.
Era il 3 luglio 1992 e Bettino Craxi, segretario del Psi e bersaglio numero uno del Pool anticorruzione di Mani Pulite, si difese alla Camera dalla richiesta di autorizzazione a procedere. Il 29 aprile dell’anno successivo avrebbe tenuto il suo ultimo discorso, e nel ’94 si sarebbe rifugiato in Tunisia.
Il sistema politico italiano ha trangugiato senza batter ciglio quell’enorme grumo di anatema morale che Craxi aveva scagliato contro tutti i partiti e la loro ipocrisia. Senza denari i partiti non vivono. E la legge che regola il finanziamento da privati è farraginosa e severa, lascia pochi spazi.
La questione torna in mente di fronte alla notizia che Alberto Bianchi, l’avvocato fiorentino vecchio amico di Matteo Renzi, è indagato per traffico di influenze, bizzarro reato che presuppone un interesse, da parte dei colpevoli, a esercitare un proprio eventuale ascendente su decisori pubblici e istituzionali per ottenere scopi di interesse di parte e non collettivo. Tradotto: si farebbero pagare per far approvare leggi e norme di favore.
Diamo per lette le solite dichiarazioni di costernazione, di fiducia nella magistratura e compagnia cantante.
Che significa, oggi, indagare Bianchi?
Significa almeno due cose. Una tecnico-politica, l’altra storica.
Quella tecnico-politica è che siamo nuovamente di fronte a un caso di giustizia a orologeria. Renzi è tornato in auge, la magistratura gli ricorda chi comanda davvero in Italia.
Un’indagine infamante a carico di persona vicinissima a un potente della politica, in questo caso appunto l’ex premier ed ancora arbitro della politica nazionale Matteo Renzi, viene resa pubblica a ridosso di scadenze elettorali molto importanti e lascia comprendere a chiunque che il “pallino” dell’eleggibilità, della reputazione pubblica, della stessa libertà fisica, ce l’ha la magistratura. Punto.
L’altro significato, storico, è che di fronte a una simile tagliola, aperta sempre e per tutti – scandalo Metropol compreso – i partiti non sono stati capaci nemmeno di coalizzarsi e tagliare le unghie a una magistratura chiaramente inadeguata ai compiti di cui la Costituzione la carica.
Il bilanciamento dei poteri in Italia funzionava fin quando era valido l’istituto dell’immunità parlamentare. Era una vergognosa asimmetria, d’accordo, ma difendeva i politici dall’arbitrio dei giudici, così come i magistrati sono difesi dall’arbitrio dei politici a loro danno grazie alla particolarissima composizione del loro organo di autogoverno, il Csm.
E dunque: come si finanziano i partiti? Attraverso le donazioni lecite, tipo quelle che Renzi raccoglie attraverso la sua fondazione Open per la Leopolda? Ma ci faccia il piacere, avrebbe detto Totò. Con quei fondi i partiti finanziano sì e no le sigarette degli uscieri. Il resto è opacità, il resto sono marchette. Tutti lo sanno, nessuno fa nulla. Come disse Craxi nel ’93. Nulla è cambiato da allora. Il Paese è corrotto nel suo midollo, la politica non reagisce più. Auguri a Bianchi, ma la questione non è personale. C’è di mezzo la possibilità di ripristinare nel nostro Paese quella democrazia compiuta che è di fatto sospesa per troppe cause concomitanti.