Della decisione del Tribunale di Bologna di rinviare alla Corte Ue il decreto del governo con la lista dei Paesi sicuri per i migranti non c’è nulla da buttar via. Anzi. Prima ancora del merito della questione, risalta lo spazio-tempo.
Con buona pace di quanti considerano l’accusa di “giustizia a orologeria” un artificio narrativo “antidemocratico”, i giudici di Bologna si sono pronunciati meno di ventiquattr’ore dopo l’ufficializzazione della vittoria del centrodestra in Liguria. Ennesima delusione cocente per il centrosinistra, quando mancano tre settimane al voto in Emilia-Romagna: rivincita dell’ultima vittoria vera del centrosinistra in Italia. Faticatissima, nel 2020, nonostante il ribaltone pilotato dal Quirinale nel 2019, la commissione Segre e lo schieramento schiacciante dei vescovi della regione. E Bologna è la città di Elly Schlein, allora candidata vicegovernatrice e oggi segretaria Pd; ma anche di Romano Prodi, padre nobile cattodem del centrosinistra; e di Roberto Bonaccini, il funzionario Ds (ex Pci) divenuto infine governatore della regione–fortilizio della sinistra nazionale.
Questo premesso – ma forse sarebbe già sufficiente – è lampante lo sforzo di rilanciare in escalation giudiziaria l’ormai logoro dossier migranti, incurante della contestazione di fatto di un decreto del governo controfirmato una settimana fa dal Presidente della Repubblica. Con la pretesa politico-istituzionale di fondo di imporre una “legge dei magistrati” come prevalente sulla “legge” tout court: l’unica possibile, prodotta dal gioco democratico fra governo e parlamento e garantita dalla presidenza della Repubblica. E questo anche – soprattutto – quando la competenza sulla sicurezza interna e la politica estera è chiaramente del governo e non della magistratura (ed è il vero “quid” – nel 2019 come nel 2024 – del processo contro il vicepremier Matteo Salvini).
Il fatto nuovo, sebbene non inatteso, sembra il tentativo aperto di portare la “disobbedienza-resistenza” giudiziaria italiana a livello Ue, con un ammiccamento evidente ai diversi sgomitamenti in corso fra politica e giustizia in chiave di “cordoni sanitari contro le destre” (emblematico il processo in corso a Parigi contro Marine Le Pen per presunti finanziamenti illeciti nei giorni in cui i voti del Rassemblement National sono indispensabili alla manovra “salva-Francia” del governo Barnier).
L’Italia riuscirà a esportare in Europa le sue proverbiali “toghe rosse”? La risposta richiederà tempi forse non brevi. Ma di certo colpisce che mentre la magistratura giudicante di Bologna resta trincerata su un fronte old con modalità ancora più old, la magistratura inquirente per antonomasia – quella ambrosiana – si è nel frattempo rischierata in avanti sul fronte in assoluto più contemporaneo: quello della cyber-illegalità. E con atteggiamento fondamentalmente no-partisan: il presidente della Fondazione Fiera di Milano, Enrico Pazzali, era stato designato dal voto congiunto fra il governatore della Lombarda (centrodestra) e il sindaco di Milano (centrosinistra). E fra le vittime dei dossieraggi illegali vi sarebbero stati il presidente del Senato Ignazio La Russa così come un giornalista di Repubblica.
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