Nel polverone sollevato dalle indagini della Procura di Roma sul caso Almasri – quattro giorni dopo le proteste anti-governative dei magistrati all’apertura dell’anno giudiziario – è sembrata prender forma una sorta di contro-riforma della giustizia. Al Governo che sta stringendo sul proprio progetto di riforma, imperniato sulla separazione delle carriere giudiziarie, la Procura ha risposto facendo commentare a due soggetti per molti versi “separati” il fascicolo aperto contro la premier Meloni, il sottosegretario Mantovano e i ministri Nordio e Piantedosi.
Il primo “portavoce” è stato lo stesso autore della denuncia: l’avvocato Luigi Li Gotti, crotonese, difensore di boss mafiosi, eletto in Senato nel 2006 per Italia dei Valori (il partito di Antonio Di Pietro) e per questo sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi 2. È stato lui a rispondere a raffica mediatica al video con cui la premier ha comunicato di aver ricevuto un avviso di garanzia per favoreggiamento e peculato nella liberazione del generale libico. È stato lui a confermare di aver presentato un esposto il 23 gennaio, spiegando di aver “ipotizzato dei reati”. “Ora come atto dovuto e non certo per fatto anomalo – ha dettagliato – la Procura di Roma ha iscritto nel registro la Premier e i ministri. Adesso la Procura dovrà fare le sue valutazioni e decidere come proseguire, se individuare altre fattispecie o inviare tutto al tribunale dei ministri”.
Nel suo ruolo di comunicatore di fatto della Procura, Li Gotti avrebbe potuto precisare meglio un punto tecnico: al Governo sono state recapitate “comunicazioni giudiziarie” e non “avvisi di garanzia”. Ma l’ex sottosegretario prodiano non lo ha fatto e così la Procura ha dovuto febbrilmente correre ai ripari. È stato così che l’anchorwoman dell’edizione principale del Tg1 si è ritrovata fra le mani un appunto nel quale “si è appreso che la Procura di Roma non ha emesso, come è stato detto da più parti impropriamente, un avviso di garanzia nei confronti della presidente Meloni e dei ministri Nordio e Piantedosi, ma una comunicazione di iscrizione che è in sé un atto dovuto perché previsto dall’art. 6 comma 1 della legge costituzionale n. 1/89″.
La nota, però, non veniva dalla Procura capitolina, ma dall’Associazione nazionale magistrati (Anm). Cioè dal sindacato dei magistrati italiani, che nello scorso fine settimana ha alimentato le proteste e ha prospettato uno sciopero clamoroso nei palazzi di giustizia contro il Governo. Una voce di per sé anomala, quella dell’Anm in questa vicenda: l’associazione sindacale non compare nell’organigramma istituzionale dell’ordine giudiziario. Questo ha semmai al vertice della propria autonomia di potere costituzionale il Consiglio superiore della magistratura, presieduto dal presidente della Repubblica.
Ad acconsentire che l’Anm supplisse i Pm a fianco di Li Gotti – nella comunicazione di un passo che è finito immediatamente sui siti di tutte le maggiori testate internazionali – è stato in ogni caso un direttivo uscente. I 6.800 magistrati italiani hanno infatti rinnovato proprio in questo fine settimana il vertice della loro Associazione. Area – la corrente della sinistra che esprimeva il presidente uscente Giuseppe Santalucia – è arrivata solo seconda (1.803 voti) superata da Magistratura Indipendente, la corrente di centrodestra (2.065 voti). La centrista UniCost ha incassato 1.560 voti, mentre la rediviva Magistratura democratica ne ha raccolti 1.081, spingendo comunque la sinistra giudiziaria a parlare di “vittoria”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.