Le restrizioni previste dagli ultimi provvedimenti del Governo rischiano di causare un’ulteriore perdita di consumi e di Pil di circa 17,5 miliardi di euro nel quarto trimestre dell’anno, concentrata negli ambiti della ristorazione e del turismo, della convivialità e della ricreazione in generale, dei trasporti e della cura della persona, portando a una riduzione complessiva dei consumi nel 2020 a oltre 133 miliardi di euro rispetto al 2019 (-12,2% in termini reali). La caduta della spesa presso gli alberghi supererebbe il 55% e quella presso la ristorazione si avvicinerebbe al 50%.



Sono questi i calcoli sugli effetti del nuovo Dpcm effettuati da Confcommercio ed è evidente che siamo di fronte a uno scenario drammatico nel quale questa seconda fase di lockdown “parziali” produrrà inevitabilmente ulteriori, gravissimi danni con il rischio di una caduta del Pil per l’anno in corso ben superiore al 10%, la cessazione dell’attività di decine di migliaia di imprese e la cancellazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Per il nostro Paese, che registra già segnali di crescente tensione sociale, si conferma l’insostenibilità economica e sociale delle nuove restrizioni all’esercizio di tante attività – soprattutto nei settori della ristorazione, della cultura e dell’intrattenimento – che, peraltro, hanno già adottato tutti i necessari e concordati protocolli di sicurezza e in cui non sembrerebbero manifestarsi particolari criticità.



Abbiamo un’Italia in tre fasce, le restrizioni si stanno inasprendo, ma la risposta al contagio non può essere soltanto quella di effettuare più chiusure, perché così si finisce per chiudere il Paese. Serve un piano generale ampio per affrontare l’emergenza e un impegno preciso, per quel che concerne le imprese colpite, per gli indennizzi o i risotti che dir si voglia da erogare in tempi certi alle imprese penalizzate dalla chiusura. Ed è proprio su questo aspetto che voglio soffermarmi.

I ristori sono un piano B, inevitabile se si fanno chiudere le imprese, e se uno Stato è degno di questo nome deve erogarli in tempi più che rapidi a chi si è visto sottratto il reddito da lavoro. Ma il piano A, che Confcommercio chiede di attuare, è quello di assicurare il diritto al lavoro sancito dalla Costituzione, che le imprese durante la ripartenza hanno onorato applicando responsabilmente i protocolli di sicurezza e tutte le disposizioni.

Prendiamo ad esempio le categorie dei pubblici esercizi e degli imprenditori dei cinema e dello spettacolo: hanno investito risorse per reinventare il loro modo di fare impresa, per prevenire i contagi e in questi mesi le cose hanno funzionato, facendo riavviare dopo il lockdown, pur tra mille difficoltà, il comparto produttivo e le imprese. Non si può pensare di contrastare la seconda ondata del virus solo chiudendo: servono più programmazione e più coordinamento per risolvere la crisi del circuito dei tamponi, dei tracciamenti, dei controlli e i nodi dei trasporti locali e della scuola. Finora le risposte in questo senso sono state contraddittorie, così come annunciati e non praticati sono stati gli indennizzi a fondo perduto, il credito d’imposta per le locazioni commerciali e gli affitti d’azienda, le moratorie fiscali – a partire dall’esenzione Imu anche per la ristorazione – e creditizie, le risorse per le garanzie finalizzate ad agevolare l’accesso al credito, la continuità degli ammortizzatori sociali insieme alla necessità della loro riforma e di una nuova stagione di vere politiche attive per il lavoro.

Vere politiche attive per il lavoro, mi ripeto. Ma alla base c’è un prerequisito che non può essere disatteso: il lavoro non va tolto d’imperio. Confcommercio dell’Emilia Romagna nei suoi manifesti che campeggiano sui giornali e in rete scrive: “Non tagliateci fuori. Vogliamo continuare a lavorare in sicurezza”. Il lavoro è la forza vitale di questo Paese. E in questo momento difficile noi imprenditori non ci tiriamo indietro. Ma prima dell’assistenza, che non è nel nostro Dna, chiediamo la libertà di poter continuare a lavorare in piena sicurezza e nel rispetto delle regole dei protocolli per i quali già da mesi ci siamo attrezzati. Gli imprenditori non ci azzeccano con i redditi di cittadinanza. La salute deve essere tutelata e questo virus va fermato, ma se fermiamo l’economia delle nostre città sarà povertà e angoscia. Ergo: un’altra morte.