Un confronto serrato con Bruxelles, le polemiche politiche sui ritardi e sui controlli della Corte dei Conti, la corsa contro il tempo per riuscire a sfruttare il più possibile le risorse messe a disposizione dell’Europa. Il Pnrr resta al centro del dibattito politico, ma nei fatti a che punto è la sua realizzazione? Lo spiega Annalisa Giachi, responsabile ricerche di Fondazione Promo Pa e coordinatrice di OReP, Osservatorio sul Recovery Plan.



Su 191 miliardi disponibili finora ne abbiamo spesi poco meno di 25 ed è in corso una ricognizione del Governo sui progetti aperti per modificare il Piano entro il mese di agosto. L’obiettivo, non così facile da raggiungere, è di riuscire ad aggiudicarsi le rate previste dalla Ue. Finora ne sono arrivate due da 21 miliardi l’una, la terza da 19 potrebbe essere in dirittura d’arrivo. Ecco quali sono gli interventi realizzati e le criticità da superare per provare a realizzare i prossimi progetti.



Qual è lo stato dell’arte del Pnrr, a che punto siamo?

Per il momento abbiamo chiesto tre rate, due delle quali, da 21 miliardi l’una, hanno avuto una valutazione positiva. Siamo in attesa della terza rata da 19 miliardi di euro, che dovrebbe arrivare a breve. Altra rata importante è quella del 30 giugno, da 16 miliardi, che però è collegata a tutta una serie di obiettivi e target sui quali in alcuni casi ci sono dei ritardi.

Cosa sta facendo a questo proposito il Governo?

Il ministro Fitto ha chiesto una mappatura di tutti gli interventi e di tutte le misure ai ministeri, per avere un quadro della situazione e formulare una proposta di modifica del Pnrr entro agosto di quest’anno. Per allora ci dovrebbe essere una sorta di nuovo Pnrr, con le misure che possono essere portate avanti e che si consolidano e altre, invece, in qualche modo sostituite o riprogrammate.



Intanto è uscita la relazione sullo stato di attuazione del Piano. Che cosa se ne ricava?

Ci sono informazioni importanti sui progetti che sono un po’ in ritardo e quelli che dovrebbero essere riprogrammati. Il Governo ha fatto un’analisi delle varie misure. Ci sono 120 progetti con elementi di debolezza di vario tipo, con difficoltà attuative legate all’aumento dei costi, dovuto alle circostanze che si sono venute a creare con la guerra e con l’inflazione. Ci sono opere infrastrutturali approvate all’inizio con un certo budget ma i cui costi sono lievitati. Rientrano in questo campo alcuni interventi per l’alta velocità: al momento due lotti della Palermo-Catania sono stati stralciati, nelle stesse condizioni è la diagonale ferroviaria Roma-Pescara. Tutti interventi di Rfi che in totale deve riprogrammare investimenti per 6 miliardi.

I motivi della difficoltà di attuazione sono anche altri?

Sì, ci sono misure che secondo il Governo sono poco attrattive, con una impreparazione ad accoglierle del tessuto produttivo. Ci sono progetti un po’ irrealistici, relativi ad esempio all’idrogeno, che richiedono un adattamento ai temi climatici sui quali il nostro sistema produttivo non è ancora pronto. Ci sono bandi che sono andati deserti perché non esiste sul mercato una determinata tecnologia, come quelli per attivare dei trattori elettrici, quando sappiamo bene che ancora non se ne costruiscono.

Ma questo sembra più un difetto del bando. È così?

Dipende da un difetto di programmazione. C’erano anche target molto ambiziosi per quanto riguarda le colonnine elettriche (2,5 milioni sulle autostrade e 4mila nelle zone urbane, nda). Qui il problema è anche trovare le aziende che producono le colonnine in così poco tempo. Per questo si parla di scarsa attrattività della misura.

Quanto incidono le difficoltà burocratiche?

Ci sono circa 70 misure che hanno difficoltà normative, burocratiche, amministrative, gestionali, legate, ad esempio, a ritardi nelle tempistiche. In questo contesto possiamo collocare il tema della sanità territoriale. Tra le misure che probabilmente saranno spostate ci sono quelle che riguardano la realizzazione degli ospedali di comunità e delle case di comunità. Sono grossi investimenti in nuove infrastrutture. Il Governo vuole portare avanti le ristrutturazioni e le riqualificazioni e spostare le nuove realizzazioni sul Fondo sanitario nazionale, dove c’è un po’ più di tempo per intervenire, senza l’obbligo del 2026. Le gare sono partite ma ci sono problemi per i cantieri, dubbi sulla tempistica.

Sulle scuole, invece, siamo messi meglio?

C’è una misura che riguarda gli asili nido e le scuole per l’infanzia. Il Governo ha ulteriormente spostato la data per l’aggiudicazione degli appalti. Qui, dopo qualche contrasto con i Comuni, sembrerebbe che la misura possa essere portata a casa, raggiungendo il target. Questo è un obiettivo di giugno.

Nelle opere pubbliche su 91 miliardi ne sono stati spesi 7: abbiamo tre anni per spenderne 84. Ce la facciamo?

Su 191 miliardi del Pnrr finora abbiamo 24,4 miliardi di spesa effettiva: siamo al 13%. Il ministero delle Infrastrutture ha poco meno di 40 miliardi di euro e ne ha spesi 4 (12%). Chi ha speso di più è il ministero degli Affari esteri che aveva 1,2 miliardi e ne ha spesi quasi la metà. Mentre il ministero dello Sviluppo economico ha una serie di misure che sono incentivi, come quelli per la transizione 4.0, più semplici da attuare.

Il ministro delle Infrastrutture Salvini, comunque, dice che ha 100 progetti pronti. Cosa ci dobbiamo aspettare?

Ha 40 miliardi da spendere e ha presentato un piano di rimodulazione per 7,3 miliardi. Il grosso sono interventi di Rfi, tratti ferroviari difficili da realizzare, però c’è un blocco di lavori che è stato confermato. Tra le opere confermate ci sono la Salerno-Reggio Calabria, la Orte-Falconara, la Metaponto-Potenza; la Napoli-Bari sarà rimodulata, ma non cancellata. Sono interventi di alta velocità: il grosso della Missione 3 è tutto di Rfi. Il Pnrr non finanzia le strade ma interventi o sulla mobilità sostenibile o sulle infrastrutture a basso impatto.

I soldi che abbiamo speso finora dove sono andati a finire?

Negli incentivi, nei cosiddetti progetti in essere, già finanziati prima dell’avvio del Pnrr e che sono confluiti nel Piano. Si tratta, ad esempio, di molte piccole opere sulla rigenerazione urbana. In molti casi erano cose già fatte o in via di completamento.

Poi ci sono l’ecobonus e il sismabonus: su questi punti c’è ancora qualcosa da chiarire?

Fanno la parte del leone. Una fetta del costo della misura va sul Pnrr e anche su questo c’è un confronto con la Commissione, perché non sappiamo bene se la misura rispetta il principio del Dnsh, che prevede di non arrecare danni significativi all’ambiente. Bisogna capire se tutte le caldaie che sono state sostituite sono conformi alle norme oppure no.

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