Attorno al PNRR si gioca quella che sembra essere una delle battaglie più importante per il governo italiano, attualmente presieduto dall’esecutivo di Giorgia Meloni. La maggior parte degli sforzi, e purtroppo delle discussioni (talvolta accese) si concentrano proprio sul piano di resilienza post pandemica proposto dall’Unione Europea. Sforzi si, ma anche litigi accesi, che vedono da un lato l’esecutivo di governo puntare il dito sull’operato del governo precedente, che non ha corso abbastanza per il PNRR, e dall’altro l’opposizione barricarsi detto a slogan e tormentoni, quasi elettorali e che di sostanza hanno ben poco.



Gli esperti: “Il PNRR sarà dannoso”

E mentre il governo e l’opposizione litigano per il PNRR, gli esperti in economia e finanza pubblica vedono per il piano di resilienza un futuro ben poco roseo. In particolare, l’Istituto economico e sociale Bruno Leoni, si chiede se “sono davvero tutte utili e necessarie le opere previste”, andando oltre e ragionando anche se sia opportuno “andare a incrementare ulteriormente il nostro già colossale debito pubblico pur di incassare integralmente non solo i trasferimenti a fondo perduto, ma anche i prestiti”.



Insomma, secondo l’Istituto Bruno Leoni “il PNRR contiene diversi interventi utili” come quelli per la digitalizzazione del settore pubblico e per la giustizia, “ma altre misure sono più discutibili, quando non addirittura dannose“. Ne sono un esempio “le gare deserte per i treni a idrogeno o l’incapacità di rispettare l’impegno a piantumare gli alberi“. Tutto, spiegano, dipende dai “tempi contingentati imposti dalle procedure europee” che hanno portato i ministri a inserire nel PNRR “proposte che da tempo giacevano in fondo ai cassetti”. Concretamente “abbiamo invertito la logica: anziché partire dalle opere necessarie e chiedere i finanziamenti, siamo partiti dai soldi disponibili e abbiamo cercato di compilare una lista“. L’idea che emerge, conclude l’Istituto è che dietro ci sia la “convinzione che la crescita economica di lungo termine dipenda in ultima analisi dalla spesa. Non dalla qualità degli investimenti ma dalla quantità delle risorse mobilitate, senza alcun riguardo al fatto che la spesa di oggi sono le tasse di domani”.

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