Fin dalla sua fondazione sulle macerie della Seconda guerra mondiale l’Europa, intesa come entità politica, non è stata tanto solo un’istituzione ma soprattutto un processo, una dinamica, un progressivo adattamento alle possibilità operative per realizzare un’unione dotata di una propria specifica sovranità.



Un processo che ha avuto alti e bassi, momenti di accelerazione seguiti da lunghi e complessi passi indietro. Con la dimensione economica che ha il più delle volte trainato quella politica. Fin dall’inizio quando i trattati di Roma del 1957 istituirono il Mercato comune europeo pochi anni dopo il fallimento della Comunità europea di difesa proposta all’inizio degli anni ’50. E poi il grande balzo in avanti all’inizio degli anni ’90 con i trattati di Maastricht che hanno dato il via alla moneta unica compiendo un salto fin troppo ambizioso rispetto alla lentezza del cammino verso una sempre maggiore unità politica, un cammino peraltro reso più complesso dalla caduta della cortina di ferro e quindi con l’allargamento dell’Unione ai Paesi dell’Est.



Un salto altrettanto importante e significativo è stato quello realizzato nei mesi scorsi come risposta al dissesto economico provocato dalla pandemia con il varo del programma Next generation Eu che ha affiancato la sospensione del Patto di stabilità e i sempre più incisivi interventi della Banca centrale europea per rendere sostenibile la crescita dei debiti pubblici dei singoli Paesi.

L’attuazione del programma è di fondamentale importanza soprattutto per l’Italia, il Paese maggiore beneficiario dell’intervento europeo non certo per la gratuita benevolenza degli altri Paesi, ma per il comune interesse a riavviare una crescita stabile e inclusiva.



Lo sottolinea con chiarezza il libro di Federico Fabbrini, che ha proprio come titolo “Next generation Ue, il futuro di Europa e Italia dopo la pandemia” (Ed. Il Mulino, pagg. 170, € 13). “L’attuazione del programma – scrive Fabbrini – apre potenzialmente uno scenario molto positivo per il Paese negli anni a venire, nel quale l’Italia può contribuire sia ad ammodernarsi che a fare avanzare il progetto di integrazione”.

È quindi opportuno guardare al Piano nazionale di ripresa e resilienza varato in attuazione del Ngeu non solo come a una grande opportunità per affrontare i nodi strutturali del Paese, ma anche come una pietra angolare per fare nuovi passi avanti sul fronte dell’unità politica. Anche perché alla base del grande impegno finanziario (750 miliardi di euro di cui 191 per l’Italia) c’è un debito comune che graverà solo in parte sulle finanze pubbliche dei singoli Paesi.

La prospettiva di una sempre maggiore integrazione politica appare importante sotto molti fronti, da quello delle politiche ambientali, che necessitano di grandi investimenti e di politiche coordinate, a quello della capacità militare di difesa per permettere all’Europa di avere un ruolo costruttivo soprattutto nelle crisi appena al di là dei propri confini, dall’Africa settentrionale, al Medio Oriente, all’Ucraina.

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