A breve – con la scadenza ufficialmente fissata, per ora, al 2026 – scadranno i tempi per sfruttare ed investire le risorse del PNRR messe a disposizione tramite il Fondo Ripresa e Resilienza dall’Unione Europa, ma a ben guardare l’Italia sembra essere decisamente lontana dagli obiettivi con il concreto rischio che buona parte delle risorse torneranno nelle tasche europee mentre (con buona pace del nostro già martoriato debito pubblico) il Governo dovrà fare i salti mortali per pagarne anche gli interessi. Questo è il punto di partenza del ragionamento sul PNRR, sulla sua fattibilità e – soprattutto – sulla sua genesi messo in piedi dagli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti sulle pagine dell’ultimo numero di Repubblica.



Partendo proprio dalla genesi, gli economisti ci tengono a sfatare il mito secondo cui i fondi siano stati una conquista sudata con le trattative dall’allora premier Giuseppe Conte (al suo secondo mandato), ricordando che in realtà “furono semplicemente il risultato dell’applicazione di un algoritmo” del tutto “automatico” e che assegnò al nostro paese “69 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto”. Il ‘nostro’ PNRR, ricordano Boeri e Perotti, consisteva già nella “cifra più alta tra i paesi UE”, ma come se non bastasse negli anni è volato fino a “220 miliardi, tre volte le sovvenzioni assegnate con l’algoritmo”.



Perché l’Europa ha permesso all’Italia di chiedere un PNRR da 220 miliardi?

Come siamo arrivati ad avere un PNRR da 220 miliardi di euro? È presto detto: “Ogni paese poteva chiedere un prestito fino al 6,8% del reddito nazionale“, pari a 123 miliardi; e mentre “paesi come Francia e Germania non hanno chiesto un euro”, Giuseppe Conte fu l’unico – “con Grecia e Romania” – a “chiedere il massimo”. A trainare la scelta, ricordano gli economisti, furono una serie di pensieri del tutto illogici – come il fatto che “il tasso di interesse era vicino allo 0” – e che potrebbero essere riassunti come frutto del “clima di euforia (o irresponsabilità) generale di quel periodo”; e come se non bastasse ancora nel PNRR sono poi affluiti anche “i 14 miliardi di un altro programma europeo e i 30 miliardi di altre risorse italiane” e aggiungendo all’equazione anche il Superbonus si potrebbe dire che in appena un anno “ci siamo trovati due programmi di spesa pubblica addizionale di almeno 420 miliardi“.



Però qualcosa non torna, perché seppur rimanga innegabile che “pagheremo a lungo le scelte di quei mesi”, non è chiaro come e perché l’Europa abbia permesso al secondo paese tra i 27 – “dopo la Grecia” – con “il rapporto debito/Pil più alto” di chiedere così tante risorse, dopo averci peraltro “messo regolarmente in guardia contro i rischi di un alto debito pubblico”. Una risposta ‘ufficiale’ Boeri e Perotti non possono (per ovvie ragioni) trovarla, ma la loro ipotesi è che “il Fondo di Ripresa e Resilienza che finanzia il PNRR aveva stanziato quasi 300 miliardi” e dato che “pochi Paesi chiesero prestiti; senza la partecipazione dell’Italia, e per il massimo possibile, il fondo sarebbe stato un insuccesso“.