Caro direttore,
con le sue parole pronunciate a Cernobbio a inizio aprile (“Sono ottimista sul Pnrr e la Ue apprezza la buonissima volontà del Governo italiano”) il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni ha contribuito certamente a rasserenare il clima, che stava diventando infuocato, sui presunti ritardi e inefficienze legate alla realizzazione dei progetti del Pnnr e al relativo utilizzo o meno dei fondi europei preposti.



La questione è certamente molto delicata, e riguarda non solo la capacità o meno del nostro Paese a spendere le ingenti risorse (191 miliardi di euro) che l’Europa affiderà in differenti tranche, ma anche all’esigenza di spenderli entro termini temporali piuttosto stretti, soprattutto per un Paese come il nostro bloccato da decenni da note inefficienze amministrativo-legislative e da una pletorica burocrazia. Per questo motivo, la premier Giorgia Meloni, fin dall’inizio della composizione del Governo, non aveva avuto alcun dubbio nell’affidare quella che appariva già allora forse una delle più delicate missioni da portare a termine a Raffaele Fitto, proprio per la sue note arti diplomatiche e per la sua grandissima conoscenza dei meccanismi di Bruxelles.



Il suo lavorio diplomatico di queste settimane (al di là dei commenti poco lusinghieri e poco generosi di certi critici a oltranza) è stato utilissimo per mantenere quel dialogo costruttivo e quelle aperture che sono state espresse chiaramente da Gentiloni a Cernobbio. “C’è un margine certamente – ha spiegato il commissario europeo a margine del forum Ambrosetti -. Abbiamo già approvato la revisione di piani per tre Paesi, Lussemburgo Germania e Finlandia. Naturalmente si trattava di piani in relazione all’economia di questi Paesi meno importanti di quanto possa essere quello dell’Italia, della Spagna, della Romania e Portogallo, Paesi in cui il piano è molto importante. Quando arriveranno le proposte di emendamento da parte italiana la Commissione è pronta ad esaminarle con il massimo di collaborazione e di flessibilità”.



Insomma, il discorso è ancora tutto aperto e gli allarmismi di queste ore sembrano a dir poco esagerati, anche perché quello che quasi nessuno sa (perché su questo la stampa è assolutamente silente) è che in realtà il nostro Paese, a parte la Spagna, è quello che finora risulta essere meno in ritardo, in rapporto per esempio a Germania, Francia o Portogallo. Il nostro Paese, infatti, ha già ricevuto due tranche delle erogazioni, mentre alcuni non hanno ancora ricevuto la prima rata. Questo non deve certo essere di eccessivo conforto, considerando che noi siamo di gran lunga i maggiori beneficiari del piano che da subito è stata giustamente ritenuta un’occasione storica, ma serve comunque a ristabilire un minimo di verità alla narrazione comune, che vorrebbe il nostro Paese come solita cenerentola europea.

Ed è necessario anche sottolineare questi dati per capire meglio come le difficoltà che sta incontrando l’Italia sono comuni ad altri Paesi, a causa, come va dicendo da mesi il ministro Fitto, delle obiettive differenti condizioni geopolitiche ed economiche presenti oggi, rispetto a due anni fa, quando fu approvato il piano. Il nostro Paese certamente deve fare poi i conti con errori commessi anche dai due Governi che hanno preceduto l’Esecutivo Meloni (Piano fatto in maniera piuttosto sbrigativa dal Governo Conte, piano di assunzioni Pa completamente sballato dal ministro Brunetta durante il Governo Draghi). Nessuno dovrebbe ergersi a maestrino e fare stucchevoli e inutili polemiche, come quelle subito partite dalla sinistra, capeggiate dalla Schlein, che ha chiesto un’immediata presenza del ministro in Parlamento per spiegare la situazione. Il Paese, invece, dovrebbe compattarsi in tutte le sue componenti, per far sì che si possa arrivare d un risultato comune, che è quello che dovrebbe stare a cuore a tutte le parti politiche e non solo al Governo Meloni.

Il ministro Fitto sta cercando di trovare soluzioni per aggirare le obiettive difficoltà – createsi per colpe che certo non possono essere addebitate esclusivamente a lui e all’Esecutivo attuale, dopo soli 5 mesi dall’insediamento, -, provando, per esempio, ad allargare i fondi del Pnrr a quelli di coesione, per ottenere in questo modo tre anni di tempo in più per spenderli, e allo stesso tempo di aggiungere a essi anche i fondi del Repower Eu come capitolo aggiuntivo, in un raccordo tra i vari piani europei che potrebbero essere un giusto compromesso.

Tutte queste cose fanno certamente ben sperare che alla fine come al solito si troverà una soluzione in grado di soddisfare sia l’Europa (che con l’Italia si sta giocando una delicata partita anche rispetto ai Paesi cosiddetti frugali) e sia il nostro Paese. Perché perdere i soldi non sarebbe una sconfitta per il Governo o per il ministro Fitto, ma lo sarebbe per l’intero Paese.

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