II 15 dicembre 2022 Regione Lombardia ha emesso una corposa delibera dal titolo: “Attuazione del decreto ministeriale 25 maggio 2022 numero 77: Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel servizio sanitario nazionale. Documento regionale di programmazione dell’assistenza territoriale (primo provvedimento)”. Questo documento, in attuazione della missione 6 C1 del Pnrr, dopo un’introduzione relativa all’analisi del contesto socio-demografico ed epidemiologico e all’individuazione di strumenti per la stratificazione dei bisogni di salute della popolazione previsti e presenti, passa alla riorganizzazione della rete territoriale, illustrando i provvedimenti.
Il testo del documento testimonia l’impegno profuso nella stesura ma anche la gravosità del compito e il tempo necessario alla sua realizzazione compiuta. Stiamo parlando di una vera e propria rivoluzione del sistema sanitario territoriale, non solo in termini quantitativi ma soprattutto come cambiamento culturale e revisione delle modalità lavorative fin qui adottate.
Tra quanto viene indicato dal documento e la situazione ora in atto vi è una distanza enorme, che non è data tanto dal dover realizzare nuove strutture o dall’imponente sforzo di potenziamento delle risorse di personale, ma piuttosto dal modo diverso di organizzarsi e di lavorare, dovendo costruire una modalità proattiva con cui affrontare la cronicità.
È prevista la necessità di stabilire integrazioni e collaborazioni tra ospedali, sia pubblici che privati accreditati, e territorio, di operare in modo integrato tra sociale e sanitario, di coinvolgere i medici di famiglia, a cui è chiesto un evidente cambiamento di marcia, e di lavorare per progetti comuni e condivisi con i servizi sociali degli enti locali e le realtà del terzo settore.
Su questo documento, indubbiamente ben fatto e completo, ma assai impegnativo, sono necessarie almeno tre osservazioni.
Serve tanta governance
Negli ultimi anni abbiamo assistito in Lombardia a uno strano ma ricorrente atteggiamento, specie in sanità, da parte dell’ente Regione. Potremmo esprimerlo così: Poiché sono state scritte leggi e norme, queste si realizzeranno automaticamente, nel concreto delle situazioni. È un atteggiamento definibile come idealista: siccome la norma c’è, questa si realizza.
Al contrario, di fronte ai compiti gravosi che questo potenziamento dell’assistenza territoriale comporta, anche perché soprattutto di natura culturale e relazionale, è necessario prevedere una ferrea governance con un attento scaglionamento delle tappe, procedendo per passi successivi, guidati, sostenuti e verificati prima di procedere al successivo avanzamento. “Tutto e subito” è impossibile, sarebbe andare incontro ad un sicuro fallimento.
Un conto è edificare delle strutture (operazione che pur necessita di tempi e progetti), un conto è lavorare con i medici di famiglia, con gli ospedali, con i servizi sociali, con le amministrazioni comunali, con gli enti del terzo settore, con le realtà del privato accreditato…. promuovendo un sistema sinergico e coordinato, prendendosi in carico i diversi bisogni di “quel” paziente, così come previsto dalla nuova delibera.
In sintesi sono necessarie tre azioni ben più marcate e incisive di quanto la delibera stessa, nella parte finale, preveda: 1) programmazione e progettazione puntuale dell’implementazione delle azioni, 2) governance serrata, continua e capillare che guidi e sostenga lo sforzo di cambiamento, 3) monitoraggio e valutazioni in itinere per correggere le inevitabili debolezze e apportare le dovute correzioni.
Una simile rivoluzione non si fa senza la gente
Distretti, case di comunità, ospedali di comunità non sono in assoluto delle novità. Sono anni che questo modello è inserito in decreti, piani, programmi, ma la sua attuazione ha sempre segnato il passo.
Nuovo è il ruolo delle persone e delle comunità previsto in questi ultimi pronunciamenti. La comunità degli assistiti non è solo destinataria di servizi ma è parte attiva nella valorizzazione delle competenze presenti all’interno della comunità stessa, disegnando nuove soluzioni di servizio, contribuendo a costruire e organizzare le opportunità di cui ha bisogno, al fine di migliorare la qualità della vita dei cittadini, rimettendo al centro dei propri valori le relazioni e la condivisione.
La partecipazione e la co-produzione da parte della comunità locale, delle associazioni, dei pazienti, dei caregiver sono addirittura inserite nel modello organizzativo fra i criteri obbligatori, al pari dell’assistenza infermieristica.
Un altro elemento di novità sono le modalità di costruzione del quadro dei bisogni, documentati sì dalle informazioni dei sistemi istituzionali, ma anche integrati con quelli delle reti sociali, cioè del mondo associativo civico che può fornire dati sulle esigenze del territorio con il suo lavoro di ascolto e di tutela.
Il successo di questa riforma dipenderà in gran parte dalla capacità di incarnare questa modalità partecipativa, abbandonando logiche autoreferenziali e centralistiche (cfr. T. Petrangolini, Corriere Salute, aprile 2022). Le comunità locali sono indispensabili, pena il fallimento. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che, a fronte di questo necessario cambiamento, è indispensabile mettere in campo e implementare la cultura della sussidiarietà.
La sussidiarietà è una parola decisiva in questa fase. Il potenziale rivoluzionario della sussidiarietà consiste nel mettere in moto il dinamismo della coesione, della fiducia, dell’iniziativa costruttiva e solidale. Significa, come ha detto Giorgio Vittadini su Repubblica (9 dic. 2022), “mettere al centro la persona come obiettivo e come attore dello sviluppo. Ma perché questo accada, bisogna rintracciare e coinvolgere tutta quella ricca storia di realtà sociali, di diverse ispirazioni ideali, che hanno agito e stanno continuando ad agire nei nostri territori per il bene della collettività, fortemente impegnati nel non profit e nel terzo settore”.
È necessario costruire dunque con loro un’alleanza critica, in un determinato territorio, così che sia possibile un lavoro insieme. Che pezzi di società, di istituzioni, di cittadini debbano potersi incontrare, sentendosi parte di un progetto comune, non solo come consumatori ma anche come parte attiva che ha da dire e da fare in positivo è particolarmente importante anche per un altro motivo. La situazione sanitaria territoriale attuale è sfilacciata e sembra che nel breve periodo possa aggravarsi. Basti pensare alla situazione della medicina di famiglia.
I benefici effetti di questo investimento nel territorio, che è appena agli inizi, non si vedranno per un bel pezzo. Dobbiamo mettere in conto un periodo di transizione lungo, non facile, con molti sbandamenti e incertezze. Ne è un esempio ciò che si dice delle Case di comunità su alcuni organi di stampa (Il Segno, gennaio 2023): “In Lombardia ci sono già stati una trentina di inaugurazioni di queste strutture, che però alla prova dei fatti non garantiscono ancora la presenza effettiva delle figure professionali promesse, né l’apertura giorno e notte”.
Il nuovo assetto, per dare i suoi effetti benefici, avrà bisogno di tanto tempo e della risoluzione di questioni non semplici: tanti soldi, tanti operatori, tanta cultura di integrazione, tanto lavoro comune tra professionisti diversi. Se in questa fase di “già ma non ancora” non si coinvolge la gente, non si mette in atto un lavoro sussidiario di coinvolgimento delle persone, anche attraverso le loro organizzazioni sociali, favorendo la partecipazione e valorizzando il positivo presente nella società, come si può pensare di traghettare il sistema sanitario territoriale verso esperienze meno problematiche e più capaci di farsi carico dei bisogni dei cittadini?
Quale forza politica si può permettere di mantenere il consenso (la sanità è almeno l’80% del bilancio regionale) a fronte della difficile situazione attuale e davanti a un non breve periodo caratterizzato da un cantiere aperto, impegnativo e conflittuale?
Partiamo dal Distretto
Il decreto ministeriale n. 77/2022 e la nuova delibera regionale n. 7592/2022, sopra citata, prevedono un luogo in cui questi processi di partecipazione, di coprogettazione e coproduzione di servizi possono avvenire. Si tratta del Distretto socio-sanitario, che viene individuato come l’ambito geografico e istituzionale in cui questa cultura collaborativa e sussidiaria può crescere e svilupparsi.
Non dobbiamo identificare il Distretto con un edificio. Il Distretto vero non è un edificio, un luogo fisico, bensì una struttura operativa multi-professionale, multidisciplinare che agisce a tutto campo per la salute dei territori e delle comunità, svolgendo la funzione integrante, che rappresenta la sua peculiarità.
Possiamo affermare che il Distretto ha un compito di regia della complessa rete formata da tutti i servizi e strutture presenti in quel territorio, come previsto dalla norma nazionale. Una regia non fine a se stessa ma che guardi innanzitutto ai pazienti con malattie croniche, ai fragili, ai disabili, alle famiglie multiproblematiche, alle persone con bisogni complessi da prendere in carico.
Il Distretto ha quindi una funzione di garanzia, così che partendo dai bisogni riesca a tarare le offerte dei servizi necessari. Contestualmente il Distretto ha la funzione di integrazione delle molteplici azioni e interventi per la salute svolte dalla pluralità di attori, anche informali, che in quel territorio sono presenti. Ci stiamo attrezzando, in Lombardia, per non perdere un’occasione irripetibile come sistema sanitario e come cittadini?
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.