Caro direttore,
la richiesta di Sala di un confronto con il ministro Carfagna è irricevibile. Sala finge di aprire una strada al dialogo, ma scopre e mette in fila, con le sue dichiarazioni, una serie di stereotipi e di malcelati retropensieri che devono essere per forza rispediti al mittente.
La premessa da cui parte è errata. Non ha nessun titolo, da sindaco di Milano, per voler discutere con la Carfagna di Mezzogiorno, in primo luogo. Non solo perché non è compito suo (dovrebbe preoccuparsi di Milano e dei milanesi), ma soprattutto perché manifesta una scarsa conoscenza del problema e della storia. Afferma, infatti, Sala di essere pronto a dare una mano a spendere i denari. Di voler mettere a disposizione le capacità di progettare e investire del Nord.
Effettivamente il Nord ha dei trascorsi eccellenti. A partire da Expo, appalto commissariato dal campano Cantone, per passare al Mose, sempre commissariato da Cantone, la spesa pubblica da quelle parti non era certo in buone mani. Ed è ancora così in alcuni casi, come dimostra la recente inchiesta del 2020 per presunte tangenti che ha coinvolto Atm.
E in tema di capacità di gestione basta ricordare il fallimento, negli anni, delle maggiori Popolari venete, spolpate, secondo i magistrati, dai loro amministratori. Qualche miliardo di sprechi finiti in mazzette, ville, prestiti ingiustificati. Banche salvate coi soldi dello Stato (e quindi anche del Sud). Nulla a che vedere con il Banco di Napoli spolpato e regalato ai torinesi, senza un euro a carico di nessuno, visto che la gestione liquidatoria della più grande banca del Mezzogiorno ha chiuso con un attivo mostruoso, a dispetto di chi diceva che era fallita. Certo, nel Mezzogiorno sono più specializzati in piccole mazzette da qualche migliaio di euro passate in contanti a qualche funzionario piuttosto che in trust e conti svizzeri.
Ma di certo gli affari Sala li sa vedere. Sa che da oltre 40 anni la Metropolitana di Milano ha la direzione dei lavori per tutte le opere infrastrutturali della metropolitana di Napoli. In virtù di una convenzione degli anni 70 i milanesi progettano e dirigono i lavori di tunnel e stazioni. Ci hanno messo quasi cinquant’anni a fare qualche galleria e qualche stazione. Ben pagati ovviamente.
Sa che l’inceneritore di Acerra è di A2A, la multiutility milanese, che porta a casa sua gli utili, oltre 100 milioni da quando lo gestisce, con cui fare nuovi investimenti.
Sala sa bene che la sua Regione, grazie alla sua sanità, riceve centinaia di milioni l’anno come compenso per curare calabresi, siciliani, campani e pugliesi. Tutta gente i cui parenti sono ospitati in ostelli, alberghi e case nella sua Milano. Sala sa bene che senza le migliaia di studenti fuori sede, che pagano rette e affittano stanze, Milano non avrebbe un ricco mercato immobiliare.
Tutti servizi pagati a lui dalle Regioni del Sud. Soldi che reinveste a casa sua. Ma non basta. Sala chiede di più. Vuole sedersi al tavolo del Pnrr e avere una fetta. E l’operazione sembra riuscire. In ogni bando, infatti, dicono i bene informati, si insiste per inserire una clausoletta semplice. Se le Regioni del Sud non spendono, ecco che andranno a quelle del Nord.
Un po’ come i fondi europei. Non spesi per anni nel Mezzogiorno, quei soldi destinati ai calabresi, ai campani, ai siciliani, ai lucani e ai pugliesi li hanno graziosamente avuti i polacchi, che ci hanno fatto le loro autostrade. Con soldi che manco gli spettavano.
Ma Sala sa che il suo gioco è semplice. Dopo vent’anni di mancate assunzioni nel Mezzogiorno mancano circa 15mila lavoratori professionalmente in grado di avviare e monitorare i progetti del Pnrr. Nonostante Brunetta si sia impegnato, ancora non si vedono quelle risorse umane all’orizzonte. E così è facile predire che Comuni senza ingegneri, geometri, architetti, avvocati ed economisti mai potranno concludere bandi e procedure in tempo. E qui viene l’idea. Li prendiamo noi. O come attuatori, usando le municipalizzate eventualmente autorizzate a investire fuori territorio, o direttamente, se i soldi resteranno senza essere toccati per troppo tempo.
Questo è il ragionamento di Sala. Altro che confronto e solidarietà. Se fosse in buona fede avrebbe urlato al Governo di fare in fretta ad assumere, avrebbe proposto di agire assieme agli enti locali, di cui fa parte, per rafforzare le amministrazioni più deboli. Ad esempio, favorendo la mobilità di ritiro degli impiegati del suo comune con incentivi per andare al Sud. Avrebbe compreso che è conveniente una rinascita del Sud del Paese per dare alle imprese italiane, anche milanesi, mercati più ricchi. Avrebbe messo a disposizione le sue quote di A2A per condividerle con comuni maggiori del Mezzogiorno per una cogestione degli investimenti, o almeno restituirgli i suoi fatti al Sud. Avrebbe potuto essere il leader di una visione nazionale e progressista del Paese. E proprio lui dovrebbe, come sindaco progressista del maggiore comune del Nord, dare un segnale politico diverso e autenticamente innovativo, perché guida una coalizione che dice di essere agli antipodi dei localismi. Eppure, spiace dirlo, esprime un sostrato culturale perfettamente sovrapponibile a quello di chi avversa.
In questa sua spontanea visione si cela, infatti, il vero male del Paese quando ragiona di sviluppo. Un gusto a guardare sempre ai propri interessi, al particulare guicciardiniano, incarnando una tendenza a vedere sempre ciò che più conviene senza avere la capacità di essere davvero al servizio del Paese.
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