Attenzione alla conservazione delle risorse naturali e alla riduzione dei fattori produttivi, ma anche forte interesse per un parco macchine moderne a zero emissioni e per lo sviluppo di nuovi impianti per la valorizzazione energetica delle biomasse di origine agricola. È questa la ricetta per gli investimenti green delle aziende agricole italiane che in quasi la metà dei casi (46%) si dicono disposte a investire più di 10mila euro per limitare l’impatto della propria attività sull’ambiente e sul clima. Cifra che per il 7,4% delle imprese arriva a superare i 100mila euro.



Sono i risultati di un’indagine promossa dall’Istituto di Scienze e Tecnologie per l’Energia e la Mobilità Sostenibili del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr Stems) in collaborazione con il Dipartimento di scienze della formazione (Dsf) dell’Università degli studi Roma Tre, L’Informatore Agrario e FederUnacoma, su un campione rappresentativo di 456 conduttori di aziende agricole e agromeccanici. Lo studio ha sottolineato anche come la disponibilità alla spesa sia influenzata soprattutto dalle dimensioni (circa tre quarti delle aziende disposte a spendere più di 50 mila euro sono medio-grandi, sopra i 20 ettari) e dall’orientamento produttivo dell’impresa. Dalla ricerca è emersa infatti una propensione all’investimento molto più elevata in settori, come quello zootecnico, in cui il problema dell’inquinamento è particolarmente sentito, o in filiere in cui l’adozione di pratiche sostenibili nella produzione rappresenta un driver anche per il mercato. E non è un caso che almeno un’azienda orto-florovivaistica su dieci (13,7%) dichiari una soglia di spesa superiore ai 100mila euro.



Fin qui, dunque, le intenzioni delle imprese. Ma qual è oggi lo stato dell’arte? La survey rivela che le imprese hanno investito prevalentemente sulla conservazione delle risorse naturali e sulla riduzione degli input produttivi: quasi il 40% degli intervistati ha adottato soluzioni agronomiche e tecnologiche volte al risparmio idrico, mentre più della metà (55%) del campione si è impegnato per ottimizzare l’utilizzo dei fattori di produzione, come, per esempio, fertilizzanti, fitofarmaci, sementi. E non si tratta di un fenomeno sporadico. “La grande maggioranza delle aziende che utilizzano queste pratiche – osserva Antonio Boschetti, direttore de L’Informatore Agrario – lo fa da più di 5 anni, spinta da opportunità di carattere economico e da considerazioni di efficienza produttiva”. Un dato incoraggiante, quindi, che si inserisce in uno scenario promettente. “Come effetto della spinta propulsiva del Green Deal – dice Boschetti -, registriamo un aumentato interesse per le tecniche e le tecnologie volte alla riduzione di emissioni e per la produzione di energia rinnovabile da biomasse agricole, con una propensione all’adozione nel breve/medio termine rispettivamente del 59% e 47%”. A essere coinvolti su questo fronte, sono soprattutto i settori zootecnico, cerealicolo e orto-florovivaistico, tra quelli cioè che risultano più legati alla produzione di energia tramite impianti di digestione anaerobica.



Gli investimenti europei

Molto, in questo scenario, dipenderà però dai futuri stanziamenti per il comparto agricolo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che assegnano 1,92 miliardi di euro proprio allo sviluppo delle produzioni e delle tecnologie inerenti al biogas e al biometano. E questo in virtù della portata di interesse collettivo che questi interventi promettono di garantire. “La transizione ecologica dell’economia è una richiesta dei cittadini europei – afferma l’europarlamentare Paolo De Castro – e pure l’agricoltura dovrà impegnarsi per ridurre il proprio impatto ambientale, anche se, ad oggi, è responsabile solo del 10% delle emissioni di anidride carbonica dell’Ue”.

Una linea ben precisa, quella tracciata da De Castro, nella quale si inserisce anche l’accordo stretto nei giorni scorsi tra UniCredit e Confagricoltura per sostenere e sviluppare la filiera agricola italiana. L’intesa punta infatti a mettere in atto un’azione congiunta e sinergica per facilitare l’accesso al credito e accelerare i processi di innovazione e transizione ecologica delle imprese agricole italiane. L’accordo prevede anche l’avvio di iniziative di formazione per accrescere la conoscenza in materia creditizia delle imprese associate e favorire la cultura della sostenibilità e la loro competitività. Come pure include l’attivazione di un Tavolo di lavoro congiunto per l’analisi dei principali megatrend del settore e per favorire collegamenti strutturati tra i 2.200 uffici territoriali di Confagricoltura e gli Specialisti Agribusiness di UniCredit.

“L’agricoltura italiana sarà assegnataria nei prossimi anni di risorse pubbliche pari a circa 57miliardi tra sussidi comunitari e contributi nell’ambito del Pnrr – spiega Andrea Casini, Responsabile Imprese di UniCredit Italia -. Abbiamo davanti a noi l’occasione storica per accelerare il processo di innovazione e transizione ecologica del settore e l’accordo firmato con Confagricoltura va proprio verso questa direzione”. Ovvero nel sostegno di “un comparto – continua Casini – che, con 735.000 imprese capillarmente presenti sull’intero territorio nazionale, è trainante per l’economia del Paese e contribuisce al Pil nella misura del 17% includendo l’intera filiera agroalimentare. Accelerare la sua trasformazione significa dunque dare una spinta decisiva alla ripartenza in chiave sostenibile e digitale del Paese, in linea con il Pnrr”.

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