Il punto debole (il più debole) è venuto fuori con evidenza al convegno organizzato nei giorni scorsi a Napoli dall’associazione Merita. E l’ha individuato il capo economista della Cdp Andrea Montanino: quasi 80mila progetti del Pnrr valgono meno di 70mila euro ciascuno inondando di coriandoli la scena di un Paese che avrebbe dovuto puntare su grandi progetti e si ritrova invece a dover fare i conti con la solita frammentazione.



Si tratta in larga parte di quel pezzo di Piano che attiene ai Comuni, gli anelli più fragili della catena perché sprovvisti – grandi e piccoli – delle persone e delle competenze necessarie a investire con profitto le risorse loro attribuite. E non basta perché il meccanismo del programma europeo prevede una tale mole di adempimenti e un rispetto così stretto dei tempi che ogni pratica ha un costo d’impianto e gestione che rischia di risultare proibitivo per le piccole taglie.



L’allarme è stato rilanciato dalle colonne del Corriere della Sera da Federico Fubini che affaccia un altro rischio: che una gran parte delle iniziative possa comunque partire senza avere la forza e le condizioni per essere portata a termine, ma incardinate nel processo in modo da non poter essere sostituite per tempo da altre ritenute più fattibili. Insomma, una sorta di fallimento annunciato che tutti temono e nessuno è in grado di evitare.

L’importo complessivo, certo, risulta modesto di fronte all’ammontare dei 211 miliardi stanziati tra prestito e finanziamento a fondo perduto. Tuttavia, il sistema congegnato è così complesso, così sfidante, che basta un po’ di polvere tra gli ingranaggi per mettere a rischio l’intera impalcatura. Il ministro competente, Raffaele Fitto, è impegnato in un confronto molto serrato con la Commissione europea per le modifiche rese necessarie dal sopraggiungere della guerra.



Tutti sanno e tutti dicono che l’unico modo per riuscire nell’intento di spendere bene ed entro i termini i soldi comunitari che dovremo meritare attraverso verifiche costanti del buon stato di avanzamento dei lavori, è affidarsi ai grandi gruppi pubblici e privati attrezzati per queste e altre sfide. Oppure, in aggiunta, mettere in moto il meccanismo dei crediti d’imposta automatici per l’ammodernamento dell’apparato tecnologico delle imprese nel solco di Industria 4.0.

Ogni ritardo, ogni rinvio delle decisioni, minaccia adesso di compromettere il formidabile (almeno nelle intenzioni) impianto di finanziamento varato dall’Unione in risposta ai danni della pandemia da Covid-19. Un atto di generosità e lungimiranza dettato dall’emotività del momento il cui esito segnerà decisioni e rapporti degli anni a venire all’interno della casa comune europea. L’Italia, nel bene e nel male, avrà una responsabilità enorme.

Un appuntamento atteso per fare un nuovo punto della situazione è il forum Ambrosetti in programma a Sorrento il 19 e 20 maggio “con l’obiettivo – si legge nell’invito alla stampa – di promuovere una nuova visione e un cambio di paradigma per l’Italia, tutte le Regioni del Sud e i Paesi delle due sponde del Mediterraneo”. Sarà l’occasione per esaminare una volta di più i punti critici, tra i quali sta emergendo l’esclusione delle Regioni dal processo di attuazione.

Poi si dovrà passare dalle parole ai fatti. Monitoraggio e analisi dei dati disponibili stanno restituendo informazioni utili a orientare le scelte verso soluzioni che abbiano possibilità di successo per scartare quelle fatalmente destinate ad arenarsi. È il momento del coraggio delle scelte. Cercare di accontentare tutti sarà la peggiore delle opzioni. Nessuno si offenda perché è in gioco molto di più delle ambizioni personali e dei piccoli gruppi. Qui si ipoteca il futuro collettivo.

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