La realizzazione del Pnrr procede speditamente: l’88% dei lavori previsti è già in corso al Nord, mentre al Sud siamo al 69%. Ma c’è un tema che non è stato ancora sufficientemente affrontato in merito al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza da oltre 190 miliardi di euro: la restituzione dei fondi all’Unione Europea. Quella di Bruxelles nei nostri confronti, infatti, è un’operazione finanziaria che comporta, da parte nostra, un rientro. Per onorare tale impegno, spiega Nicola Rossi, professore di Economia Politica all’Università di Roma Tor Vergata, dovremo prima di tutto spendere bene ciò che abbiamo ottenuto.



Solo se le opere realizzate con il Pnrr ci permetteranno di alzare stabilmente il nostro livello di crescita, potremo avere le risorse per ripagare l’UE. Altrimenti saranno guai. Tanto più che gli investimenti fatti spesso e volentieri richiedono altri impegni finanziari: se si costruisce una scuola nuova, occorrono fondi per pagare gli stipendi e per prevedere anche la manutenzione dell’edificio. Insomma, l’Italia non è solo chiamata a spendere i soldi europei, ma a fare in modo che rappresentino un’occasione per far crescere la sua economia. Altrimenti i debiti con Bruxelles non saranno così facili da saldare.



Qual è lo stato di avanzamento del Pnrr attualmente?

Il rapporto intermedio della Camera dei Deputati segnala che, nel settore delle opere infrastrutturali prioritarie, in larghissima parte ferrovie, strade e autostrade, il livello di progressione è significativo. D’altra parte, dove il soggetto attuatore è una grande impresa, che conosce il suo mestiere e ha capacità progettuali, è comprensibile che le cose procedano in modo spedito e regolare. E non c’è neanche una grande differenza nel livello di attuazione tra Nord e Sud.

Le risorse in arrivo da Bruxelles, insomma, non verranno sprecate?



Non penso che non riusciremo a spendere i soldi prima della data prevista. L’esperienza italiana è che questo tipo di risorse viene speso. Il vero punto è la qualità della spesa. È probabile che con l’approssimarsi della data del 2026 si chiedano delle proroghe. Io cercherei di evitarlo perché ogni richiesta in questo senso sarà intesa da chi il Pnrr non lo ha mai gradito molto come un segnale di difficoltà dell’intero programma, una conferma della necessità di non ripetere l’esperienza. A spendere, volendo, si fa in fretta. Il tema vero è che l’acqua che bagna la terra non sempre permette la nascita delle piante; a volte si limita a inumidirla superficialmente, esperienza che in Italia abbiamo conosciuto ripetutamente, soprattutto nel Mezzogiorno.

I finanziamenti dell’Europa, però, alla fine dovranno essere restituiti. Sappiamo come farlo? È un tema che ci si è posti sufficientemente?

Non esiste l’albero che produce soldi. Se a noi sono state date sovvenzioni e debiti, il debito dovremo restituirlo, sia pure a tassi di interesse favorevoli. Mentre per le sovvenzioni occorreranno maggiori contribuzioni all’Unione Europea o la cessione alla stessa di basi imponibili. Se qualcuno pensava che anche le sovvenzioni fossero gratis, vive sulla luna.

Lo Stato ha valutato cosa significhi questo per le sue finanze?

Qui c’è un problema molto semplice: dal 2027 in poi dovremo restituire il debito, ma ci sono anche altre voci che dovremo prendere in considerazione. Le infrastrutture che stiamo realizzando avranno bisogno di manutenzione. Molta spesa legata al Pnrr va oltre il puro e semplice rimborso del debito o l’incremento delle contribuzioni nei confronti di Bruxelles. È fondamentale che le opere del Pnrr determinino un incremento del prodotto potenziale, di lungo periodo, tale da consentire di pagare il debito, di aumentare le contribuzioni e di occuparsi delle manutenzioni. Se questo non accadrà, il gioco non sarà valso la candela.

I soldi per l’Europa, quindi, devono arrivare dalle stesse opere che stiamo realizzando con il Pnrr?

Qualunque investimento sano è basato su questo principio: genera valore che consente di rimborsare il debito contratto. È la vita quotidiana di molte aziende. Qui lo stiamo facendo su scala molto più ampia, ma la sostanza è la stessa. Bisogna che queste opere determinino un incremento di lungo periodo del prodotto potenziale, della crescita. Non ci interessa quello che sta succedendo in questi anni, cioè un incremento dei tassi di crescita legati al fatto che si sono aggiunti investimenti pubblici a investimenti privati che ci sarebbero stati comunque. Ci interessa quali effetti produrrà tutto questo sulla nostra capacità di crescere. Se non sortirà effetti, avremo un problema, perché avremo fatto investimenti, avremo contratto debiti, ma non sapremo come pagarli.

Se cresceremo riusciremo a restituire i soldi?

La qualità della spesa, dove spendiamo, cosa facciamo con questi soldi, è fondamentale.

Per ora, tuttavia, ci preoccupiamo di spendere e non, per esempio, della manutenzione e del mantenimento di ciò che realizziamo.

Non più tardi di dieci giorni fa il sindaco di una importante città meridionale (Bari) ha lanciato un allarme: “Stiamo facendo gli asili, ma chi ci paga gli stipendi per le persone che ci devono lavorare e chi paga la manutenzione?”. Un problema molto serio. Il sindaco, per quanto mi riguarda, avrebbe fatto bene a dire ai suoi cittadini di prepararsi a pagare tariffe più alte (o a pagarle tout court, se non c’erano) per gli asili, perché sono stati rimessi a posto. Sarebbe stata la prima cosa da dire per non scaricare sullo Stato e sui contribuenti anche le scelte di quella singola città. Ma questo dimostra qual è il problema: avremo necessità correnti per il futuro che dovremo affrontare e onorare, e potremo farlo con relativa tranquillità se tutto il Pnrr si tradurrà in tassi di crescita stabilmente più elevati di quelli molto modesti che abbiamo sperimentato negli ultimi 30 anni.

Se non vinciamo questa sfida, il Pnrr può diventare un boomerang?

Certamente, è così.

(Paolo Rossetti)

 

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