La pandemia, che ha colpito prima di altri Paesi europei l’Italia, ha modificato in modo profondo la politica economica europea, che ha assunto un chiaro orientamento anti-ciclico, accettando di promuovere un grande piano di investimenti finanziato da un debito comune. L’Italia è la prima beneficiaria, in valore assoluto, dei due principali strumenti di questo piano, intitolato alla nuova generazione dei cittadini europei: il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF) e il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (REACT-EU).
Il solo RRF garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. L’Italia intende inoltre utilizzare appieno la propria capacità di finanziamento tramite i prestiti della RRF, che per il nostro Paese è stimata in 122,6 miliardi. A questi si aggiungono gli investimenti finanziati con il Fondo Complementare finalizzato a integrare con risorse nazionali gli interventi del PNRR per complessivi ulteriori 30,6 miliardi. Gran parte di queste risorse è destinata all’ammodernamento e all’estensione della rete infrastrutturale.
Nei prossimi cinque anni l’Italia ha quindi la possibilità di realizzare un colossale programma di investimenti che ci potrebbe dare l’occasione di cambiare radicalmente l’assetto e il funzionamento del nostro Paese: la vera sfida che abbiamo quindi di fronte è riuscire a spendere bene questi soldi. L’alibi della “matrigna Europa” è così caduto e tocca a noi dimostrare di essere all’altezza della fiducia che gli altri Paesi europei ci hanno accordato.
Come spesso avviene, il primo passo è il più difficile: è decidere cosa ci serve e, tra le opere che ci servono, quali possono essere realizzate in questi cinque anni. Occorre quindi “programmare”. È un’attività complessa, che richiede alte competenze tecniche e una capacità di visione politica di lungo termine, due aspetti che oggi sono molto carenti sia a livello dello Stato che delle Regioni. Per questo è importante il documento che il ministero per le Infrastrutture e la Mobilità Sostenibili (MIMS – il nuovo nome del ministero dei Trasporti) ha pubblicato come allegato al Documento di Economia e Finanza (DEF): si intitola significativamente “Dieci anni per trasformare l’Italia” e ha come sottotitolo “Strategie per infrastrutture, mobilità e logistica sostenibili e resilienti, per il benessere delle persone e la competitività delle imprese, nel rispetto dell’ambiente”.
Con questo documento il Governo cerca di supplire alla mancanza della programmazione: la legge prevede infatti che ci debba essere un Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, che guarda nel lungo periodo, accompagnato e dettagliato con un Documento Pluriennale di Pianificazione, che definisce le scelte di breve periodo. Non essendo stati preparati negli anni scorsi né l’uno né l’altro, il Governo con questo documento “anticipando la strategia di lungo periodo in un’ottica di sviluppo sostenibile” elenca le scelte operate in materia di infrastrutture e mobilità nell’ambito del PNRR e del Fondo complementare, cercando di inserirle in una prospettiva di sistema.
Siamo quindi di fronte a un rovesciamento logico della procedura: non essendo possibile derivare dal quadro complessivo le opere da realizzare, mettiamo insieme le singole opere e definiamo questo elenco quadro programmatico. Fa parte del grande realismo con cui Draghi sta affrontando i molti temi sui quali l’azione dei Governi precedenti è stata carente; tuttavia, questo modo di procedere lascia irrisolti molti problemi, perché nell’elenco degli investimenti è facile trovare lacune ma anche evidenti contraddizioni.
Prendiamo come esempio un tema molto dibattuto in questi giorni: il collegamento stabile per l’attraversamento dello Stretto di Messina, argomento sul quale il ministro Enrico Giovannini ha riferito in audizione alle commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera. La notizia è che entro la prossima primavera sarà effettuato uno studio di fattibilità (l’ennesimo), a seguito del quale verrà avviato un dibattito pubblico per arrivare a «una scelta condivisa» e stanziare risorse nella legge di bilancio 2023.
Tutto questo mentre nel PNRR si investono miliardi per le ferrovie in Sicilia, scarsamente efficaci senza un collegamento ferroviario stabile, ma soprattutto mentre il fondo complementare stanzia decine di milioni per far costruire nuovi traghetti dedicati al trasporto dei treni da impiegare nello Stretto. È solo un esempio di come, caduto l’alibi della mancanza di risorse, occorra affrontare rapidamente scelte da molto tempo rinviate perché divisive: l’augurio è che, come è avvenuto per la giustizia e per i green pass, il Governo riesca a trovare un onorevole punto di mediazione.
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