Nella serie di ricerche promosse da Banca d’Italia, a supporto delle politiche economiche del nostro Paese, è stato recentemente pubblicato un paper che offre una valutazione quantitativa dell’impatto che il Pnrr avrà sull’occupazione. Partiamo subito dal risultato e abbiamo che la domanda aggiuntiva di lavoro dipendente è stimata all’1,7% rispetto al dato del 2019. Per calcolare il risultato gli autori del paper hanno considerato i finanziamenti complessivi previsti, 235,6 miliardi di euro, pari a circa il 13% del Pil, distribuendo le risorse sui diversi settori economici che vedranno aumentare la domanda di beni e servizi.
La mole di investimenti non riguarda tutti i settori dell’economia. Il settore edile assorbe buona parte delle risorse che verranno investite nel corso di questi anni. Possiamo valutare che fra il 35 e il 40% delle risorse saranno da esso assorbite. Seguono, ciascuno con il 10% circa, la programmazione informatica, l’istruzione, la ricerca e sviluppo e poi computer, elettronica e ottica. Se però consideriamo l’impatto che i nuovi investimenti hanno sul valore aggiunto dei diversi settori i risultati cambiano. Le costruzioni ricevono un contributo che si ferma al 10% del valore aggiunto del settore, mentre il settore computer, elettronica e ottica arriva ad avere un contributo di quasi il 20%. Anche gli altri settori che contribuiscono a realizzare la transizione digitale, assieme al comparto salute e assistenza alle persone, ottengono significativi investimenti se rapportati al valore aggiunto.
Attraverso poi l’applicazione di una tavola di misurazione dell’impatto che la crescita di un settore ha su tutti gli altri si può misurare il percorso nel tempo della crescita occupazionale e anche la sua distribuzione nell’insieme dei settori economici. Tutti i settori hanno un andamento di crescita che vede negli anni centrali della realizzazione del Pnrr le punte di massimo e poi un calo che, però, per la maggioranza dei settori segna un incremento stabile rispetto all’anno di avvio.
Il nostro sistema produttivo non riuscirà ad assicurare tutte le forniture richieste dalla crescita della domanda. Le importazioni si stima che cresceranno di 25 miliardi, 5 per il settore computer e ottica.
Fatte queste premesse possiamo stimare l’impatto occupazionale per i principali settori interessati dagli investimenti. In termini assoluti nell’anno di picco, quello con la maggiore mole di investimenti, si genereranno 375.000 nuovi occupati. Di questi, che rappresentano un incremento del 2,1% dell’occupazione, il 79% sono previsti nel settore privato. Non prendiamo in considerazione i circa 80mila occupati nella Pa (soprattutto nei due settori trainanti della istruzione e della salute) perché i tempi di assunzione rispondono a criteri amministrativi più che all’impatto della domanda di servizi.
L’impatto numericamente maggiore riguarda il settore delle costruzioni e dell’ingegneria specializzata. Si stimano oltre 95mila nuove assunzioni, circa il 10% in più rispetto all’occupazione complessiva del 2019. Tre volte in più della crescita avuta nel settore fra il 2014 e il 2019. I numeri degli altri settori sono certamente minori in termini assoluti, ma di forte impatto rispetto al passato. Nei settori dei computer, elettronica e ottica, così come nella ricerca e sviluppo, avremo un incremento di occupazione superiore al 10% degli occupati al 2019, rispettivamente con il dato complessivo di 12.700 e 16.600 nuovi occupati. Programmazione informatica, gestione del personale, consulenza e macchinari, contribuiscono poi complessivamente con oltre 90mila nuovi occupati.
Questa domanda di lavoro si concentra in pochi anni e, se non incontra successivamente una nuova fase di sviluppo, è destinata a una discesa altrettanto rapida. Già questa prima osservazione ci porta a fare alcune considerazioni su come l’impatto del Pnrr si scontra con le strozzature storiche del nostro mercato del lavoro. La quota maggiore di occupati riguarderà professioni “rutinarie”, diciamo professioni manuali con bassa professionalità nei settori o edili e delle macchine. Sono anche i settori dove la caduta degli investimenti sarà seguita da un calo occupazionale. Seguire fin da ora con un programma di presa in carico le persone che usciranno dal settore e indirizzarle attraverso adeguati percorsi formativi verso nuova occupazione è certamente programmabile. Si possono usare gli stessi fondi del Pnrr destinati alla crescita dei servizi al lavoro. Ci si scontra, però, con il ritardo dei servizi al lavoro esistenti nel nostro Paese e con la folle separazione fra operatori pubblici e privati che ritarda il decollo di un sistema di politiche attive funzionante.
L’impatto più significativo riguarda però la domanda di professioni ad alta specializzazione con competenze analitico-cognitive. Si tratta di skills professionali già scarse per la normale domanda di lavoro anche nella fase pre-pandemica. In questo caso è urgente un piano di formazione rivolto a occupati e disoccupati che abbiano però le basi per acquisire velocemente nuove competenze. Solo a fianco di questo impegno straordinario ha senso l’investimento per favorire l’accesso ai percorsi formativi scientifici che richiedono comunque tempi medi per arrivare a termine.
La nuova domanda di lavoro si scontra inoltre con i primi segnali di calo demografico. L’offerta di lavoro 15-69 anni si contrarrà di 630.000 persone (meno 2,5% della popolazione attiva) entro il 2026. Questo dato impone che ci si concentri su politiche di immigrazione programmate e mirate su alcune professionalità per poter rispettare la crescita della domanda di lavoro.
È d’altro canto in queste contraddizioni del nostro mercato del lavoro che già oggi si dibatte per rispondere alla domanda di un lavoro di qualità. È un tema certamente economico, salari troppo bassi e produttività da rilanciare, ma anche un’organizzazione del lavoro che veda una partecipazione migliore di tutti i lavoratori.
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