Qualche giorno fa il Governo italiano ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale un Dpcm con cui distribuisce la prima tranche dei 7,5 miliardi di euro necessari a coprire gli extracosti delle opere del Pnrr. I contratti firmati con le società di costruzione sono diventati obsoleti perché i costi della componentistica sono esplosi e quindi bisogna rivedere gli importi per non rischiare che si fermino i cantieri. Sintetizzando: per completare le opere del Pnrr servono molto più soldi di quanto fosse stato preventivato. Le chiusure di acciaierie e il crollo della produzione delle aziende energivore non potrà fare altro che peggiorare la disponibilità di beni e far aumentare i prezzi. Con il passare delle settimane il conto sale.
Nel 2021 si è avuto un numero record di nuovi cantieri. L’esplosione è stata il frutto di una congiunzione astrale in cui si sono allineati i fondi europei, un Primo ministro che tranquillizzava i mercati, un approccio dell’Europa nuovo dopo la crisi economica del Covid e, sicuramente in Italia, più di dieci anni di austerity che aveva riempito i cassetti di progetti approvati ma non finanziati. Oggi completare le opere iniziate l’anno scorso costa decine di miliardi di euro in più. I 7,5 miliardi aggiuntivi previsti dal Governo, infatti, sono solo la prima parte.
Il contesto macroeconomico in cui si trova il Paese è cambiato radicalmente. Non siamo più in uno scenario di prezzi dell’energia e delle materie prime depressi dopo il crollo della domanda da lockdown. I prezzi sono esplosi e a partire da luglio un numero spaventoso di imprese si è trovato nella situazione di non avere più convenienza a produrre. Non si contano, e siamo appena all’inizio, le imprese che lasciano decine, centinaia o migliaia di lavoratori in cassa integrazione perché chiudono l’attività. In questo scenario le priorità della politica economica e della spesa pubblica non dovrebbero essere le stesse di un anno e mezzo fa. Oggi la priorità è salvare le imprese, i lavoratori e difendere la produzione industriale. Che senso ha spendere decine di miliardi di euro in opere di cui l’Italia ha fatto senza fino a ieri e che non saranno pronte prima di molti anni, quando il Paese accusa punti percentuali di disoccupazione perché le imprese chiudono?
Il problema è duplice ed è sia sul lato del Governo italiano, che non pensa niente al di fuori del piano europeo, sia dell’Europa. Il piano di rilancio dell’economia continentale varato l’anno scorso oggi è completamente sorpassato dagli eventi e appare lunare. Ci potremmo convincere in una difesa appassionata dell’Europa e del Governo che cantierizza le opere e le continua a prescindere da tutto, dicendoci che questi cantieri rilanciano l’economia e “fanno Pil”. Il Pil che fanno, ci sembra, è quello della Nord Corea, che ogni tanto convoca i giornalisti per far ammirare l’ultimo iper tecnologico aeroporto, o il nuovo skilift e complesso turistico sempre mortalmente vuoti dato che tutto intorno si lotta, più male che bene, per la sussistenza; i consumi sono a un livello molto più basilare rispetto ai viaggi in destinazioni esotiche o settimane sulla neve.
Il Pnrr è un piano quinquennale che si porta avanti senza se e senza ma, a ulteriore testimonianza che la politica economica in atto assomiglia al comunismo sovietico. Ci chiediamo altrimenti che senso abbia nel contesto attuale, alla vigilia di una recessione di cui non si vede il fondo, allocare le risorse in questo modo mentre le imprese chiudono. Quale sia il contesto ce lo ha ricordato ancora ieri la direttrice del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva, l’ultima di una lunga serie di economisti che ha messo in guardia contro la possibilità di disordini sociali: “Se madre natura decide di non cooperare e l’inverno è duro si potrebbero verificare disordini sociali”. Nessuno si illude che cambiare politica economica sia facile e che non ci siano scontenti, ma la sopravvivenza, in questo caso del nostro sistema economico, dovrebbe comunque avere la priorità. Pazienza per tutto il resto: il Pnrr, la Commissione europea e così via.
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