Manca poco più di un mese alle elezioni politiche. Il centrodestra, nel suo programma, si è impegnato anche a rinegoziare con Bruxelles il Pnrr e in ogni caso il nuovo Esecutivo dovrà occuparsi di un dossier fondamentale: la riforma del Patto di stabilità e crescita. Nei giorni scorsi il Governo tedesco ha diffuso un documento in cui esplicita la propria posizione sulla riforma delle regole fiscali europee. Un documento che, spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, “contiene anche la presa d’atto dei limiti dell’attuale sistema, formalistico al punto tale che ogni volta che le regole sono state disattese non è mai scattato sul serio l’enforcement delle sanzioni previste. Oltretutto, la valutazione del rispetto di tali regole presenta degli elementi di opacità. Il Governo tedesco intende, quindi, creare maggiore trasparenza e anche un più chiaro automatismo tra il mancato rispetto delle regole e l’impianto sanzionatorio, che sinora è stato molto mitigato quando c’è stata l’occasione di applicarlo, peraltro anche nei confronti della stessa Germania. Detto questo, l’obiettivo del documento è di riformare le regole fiscali al fine di favorire la sostenibilità del debito ed evitare effetti avversi delle regole stesse sulla crescita. Riguardo la strategia abbozzata per raggiungere tale traguardo la valutazione è, invece, articolata”. 



Perché?

Anzitutto occorre tenere presente che non vengono proposti cambiamenti formali ai criteri di Maastricht. Si toglie enfasi al Fiscal Compact, quindi alla regola che prevede la riduzione di un ventesimo all’anno del rapporto debito/Pil eccedente il 60%. Questo rappresenta un importante atto di realismo, ma occorre anche ricordare che di fatto questa regola non è stata rispettata dai Paesi ad alto debito. Il Governo tedesco propone anche di spostare l’enfasi sull’orizzonte di medio termine.



Con quali conseguenze?

La programmazione fiscale e la valutazione da parte della Commissione si concentrerebbero su obiettivi di medio termine, in modo da consentire una deviazione nel breve a seguito di circostanze specifiche e dinamiche congiunturali. Questo è un aspetto positivo. Risulta, invece, meno chiaro nella proposta cosa accadrebbe agli investimenti pubblici. L’Ue ha messo in piedi un massiccio programma di investimenti, specie per l’Italia, e sarebbe, dunque, un controsenso se le nuove regole fiscali non tenessero in considerazione questo aspetto.

Il fatto che venga tolta enfasi alla regola sul debito è certamente positivo. Ma nel complesso cosa può significare questa proposta per l’Italia?



La Germania vorrebbe spostare il terreno del confronto dalla dinamica del debito a quella del deficit a medio termine. La sorveglianza fiscale dovrebbe, quindi, concentrarsi maggiormente sull’andamento di medio termine del disavanzo, ma l’impianto regolamentare sul deficit fiscale e sulle relative procedure di valutazione e di infrazione rimarrebbe sostanzialmente invariato, anzi ne uscirebbero accresciute le sanzioni, sia nell’efficacia che nella loro applicabilità.

Quindi, o c’è una deroga che riguarda tutti, com’è stato dopo lo scoppio della pandemia di Covid, oppure bisogna stare nei limiti imposti da Maastricht.

La proposta tedesca mira a rendere più chiari e certi anche i casi in cui può essere applicata la clausola di salvaguardia, mentre oggi in tale ambito vi è una considerevole discrezionalità. Tra l’altro l’attivazione della clausola di salvaguardia non implica la sospensione del Patto di stabilità, ma delle procedure d’infrazione. Questo è molto importante per il Tpi, perché per poter beneficiare del cosiddetto “scudo anti-spread” della Bce un Paese deve soddisfare la condizionalità fiscale.

Dunque, l’Italia dovrà cercare di “smussare” le posizioni della Germania.

Rispetto alle posizioni del passato, c’è sicuramente un’evoluzione positiva in questa proposta della Germania. Credo che in sede europea il confronto dovrà concentrarsi nello stabilire una maggiore coerenza tra la riforma delle regole fiscali e la possibilità di avvalersi in pieno del Pnrr e, quindi, prevedere per gli investimenti, a maggior ragione se attuati nella cornice del Next Generation Eu, un trattamento differenziato. Questo sarebbe, peraltro, coerente con una delle premesse del documento tedesco, laddove afferma che la disciplina fiscale europea non deve essere costruita a detrimento della crescita. Un tema importante per il prossimo Governo italiano, di qualunque colore esso sia, sarà, quindi, presentare delle controproposte che siano maggiormente rispondenti agli interessi del Paese, tra cui rientra anche la sostenibilità fiscale, raggiungibile nel medio lungo termine non tanto con l’accetta e la scure fiscali, ma piuttosto perseguendo politiche di crescita, in netta discontinuità con il passato.

Ha appena ricordato l’importanza per il nostro Paese di avvalersi appieno del Pnrr. La coalizione di centrodestra, spinta in particolare da Fratelli d’Italia, propone di rinegoziare il Piano. Cosa ne pensa?

Va dato atto a Fratelli d’Italia di aver sollevato per primi l’esigenza di un potenziamento del Pnrr, cui viene riconosciuta un’estrema importanza per le prospettive di crescita del Paese. Si tratta di prendere atto che il Piano è stato formulato in un contesto economico e geopolitico radicalmente diverso dall’attuale. L’obiettivo è assicurare all’economia nazionale una fornitura energetica adeguata e stabile, a prezzi competitivi. Inoltre, il cronoprogramma legato alla decarbonizzazione, fermo restando che l’esigenza di salvaguardia del pianeta è indiscutibile, andrebbe rivisto alla luce di quello che ci sta accadendo attorno. C’è, poi, anche un altro aspetto importante che ho colto nella proposta del centrodestra.

A che cosa si riferisce?

Viene posta l’enfasi sull’esigenza di assicurare una maggiore efficienza nell’implementazione del Pnrr. Infatti, nel 2021 solo un terzo dei fondi disponibili è stato effettivamente speso. Si tratta di un campanello d’allarme importante, tra l’altro in linea con l’incapacità cronica del Paese di assorbire i fondi europei, cui l’implementazione del Pnrr non ha posto rimedio come si ipotizzava da parte di chi era allora al Governo. Peraltro c’è un recentissimo rapporto della Corte dei Conti che documenta che solo il 50% delle risorse stanziate sono state impegnate e versate per i progetti che rientrano nel fondo complementare al Pnrr. 

Non si corre il rischio, come dichiarato da esponenti del centrosinistra e del “terzo polo”, di perdere le risorse legate al Pnrr nel caso di rinegoziazione?

Quando si parla di rinegoziazione, questo implica di per sé un atteggiamento cooperativo nei confronti dei partner europei: non si tratterebbe di una modifica unilaterale del Pnrr. E chiaramente il negoziato si dovrebbe necessariamente svolgere in piena sintonia con le istituzioni europee. Tale negoziato potrebbe cominciare se ci fosse l’obiettivo condiviso di rafforzare il Pnrr, rendere più efficace la strategia da perseguire e più efficiente l’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Europa. Credo che sia interesse di tutti che l’Italia faccia il miglior uso possibile del Pnrr e delle sue risorse. Siamo, quindi, di fronte ad argomentazioni pretestuose da campagna elettorale. Io credo che il nuovo Governo, di qualsiasi colore esso sia, dovrebbe in ogni caso procedere a un aggiornamento del Pnrr, naturalmente in piena sintonia con le istituzioni europee. Non dobbiamo, infatti, dimenticare un aspetto importante già accennato in precedenza.

Quale?

Che la sostenibilità del debito italiano passa da un potenziamento delle politiche di crescita del Paese. Senza di esse non ci sarebbe sostenibilità del debito e non ci potrebbe essere alcuna compliance con la condizionalità fiscale europea, con o senza riforma del Patto di stabilità e crescita.

(Lorenzo Torrisi)

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