Delle tre proposte di tassazione patrimoniale di cui c’è traccia sul tavolo della manovra 2021, due portano la firma di Leu: la nuova “Ditta” di Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani, i grandi leader Ds sganciatisi dal Pd renziano già prima del voto 2018.
L’ipotesi più nota è quella co-firmata da Nicola Fratoianni, portavoce nazionale di Sinistra italiana (che alla Camera fa gruppo unico con Leu) assieme all’ex presidente del Pd, Matteo Orfini. Lo schema prevede un prelievo progressivo a partire da un patrimonio complessivo di 500mila euro – con aliquota 0,2% – fino al 2% su fortune superiori ai 50 milioni di euro (mancano al momento dettagli puntuali sui criteri di inclusione e valutazione dei beni immobili). L’idea è stata ripresa da Beppe Grillo – fondatore di M5S – nella sua previsione massima (grandissimi patrimoni), in accoppiata con la fine dell’esenzione Ici-Imu per i beni immobiliari del demanio ecclesiastico (Santa Sede e diocesi).
Una terza proposta – sotto forma di emendamento targato direttamente Leu – ipotizzerebbe invece di colpire all’1% i patrimoni superiori a 1,5 milioni di euro. Il prelievo sarebbe una tantum, ma prevederebbe esplicitamente una platea estesa alle persone giuridiche. A essere assoggettate non sarebbero quindi solo i contribuenti individuali, ma anche le società: alcune mere casseforti patrimoniali, ma molte altre esercenti imprese.
Un partito della maggioranza di governo metterebbe quindi nel mirino di una fiscalità straordinaria l’Azienda-Italia martoriata dalla recessione-Covid: il pezzo di sistema-Paese cui sono affidate tutte le speranze e promesse di ripresa. A tutti i colpiti dalla “patrimoniale Leu” – privati e imprese – verrebbe lasciata una sola scappatoia: investire la liquidità in BoT e BTp. In pratica: togliere dai conti correnti bancari i propri risparmi o saldi di tesoreria (quelli che sono rimasti dopo il lockdown e sono custoditi da famiglie e imprese per un futuro incertissimo) e prestarli forzosamente allo Stato, con la pistola della patrimoniale puntata alla tempia.
La situazione politica è talmente confusa – sia in Italia che in Europa – che non è possibile il minimo pronostico sullo sbocco del dossier patrimoniale.
La proposta Leu dal canto suo, si presta quanto meno a una sottolineatura. La proposta viene da leader che hanno segnato al massimo livello la storia politico-finanziaria della Seconda Repubblica. D’Alema è stato Premier ai tempi della leggendaria Opa Telecom: uno dei più grandi falò della turbofinanza globale. Su quell’operazione – che vide il Governo italiano, Mediobanca e la major di Wall Street schierate dietro la “razza padana” alla (ri)conquista del gioiello statale delle tlc appena privatizzato – Bersani costruì poi la sua scalata alla leadership del Pd: sfociata poi nella “non-vittoria” elettorale del 2013 e nel declino dell’egemonia ex-comunista sul partito.
Il gergo della burocrazia fiscale potrebbe forse guardare alla patrimoniale 2020 a firma Leu come un “ravvedimento operoso”. Certamente nel 1999 gli oltre 60 miliardi mossi dalla “madre di tutte le Opa” gonfiarono molti patrimoni, individuali e istituzionali. Certamente quel passaggio dilapidò gran parte del (grosso) patrimonio industriale di Telecom, allora un vero “campione nazionale”: e non portò d’altronde fortuna politica né a D’Alema (dimessosi già nel 2000), né a Bersani. Ma non sembra difficile prevedere che la “patrimoniale Leu” – com’è forse inevitabile – andrebbe a mettere le mani nelle tasche “degli altri”.